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Carlo Pelanda: 2022-9-11La Verità

2022-9-11

11/9/2022

Il presidenzialismo va visto come soluzione di efficienza e non come rischio di autoritarismo

Premessa. Chi scrive segnala ad Enrico Letta i molteplici seminari nella sala verde dell’Arel, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, voluti e guidati da Beniamino Andreatta per valutare l’opzione di una repubblica presidenziale, ricordando – se la memoria non inganna – che ad alcuni ha partecipato egli stesso in veste di giovane associato, in quei tempi molto brillante, tra gli allievi di Andreatta stesso. Andreatta si rendeva conto che la complessità dello scenario interno (disordine politico e problema del debito) ed esterno (post guerra fredda e riconfigurazione della Comunità europea) ponevano all’Italia il problema di passare dall’orizzontalità (definita dalla Costituzione per evitare troppo potere di una parte) della governance ad una maggiore verticalità. Che, per inciso, l’allora presidente Francesco Cossiga – con cui lo scrivente stava collaborando – era disposto a facilitare in tutti i modi per la medesima consapevolezza. Questi grandi democristiani cercarono di capire la fattibilità di un’elezione diretta dell’esecutivo e, con lo stile analitico profondo di Andreatta, cercarono di valutarne tutte le angolature, i pro e i contro. Chi scrive ricorda una conversazione privata con Andreatta durante un volo verso Madrid dove il tema fu se nei partiti prevalesse il timore di essere disintermediati o se capivano che il presidenzialismo sarebbe stata la loro salvezza perché avrebbe dato più poteri al parlamento combinati con un’efficienza verticale di governo. Purtroppo i segnali indicavano la prevalenza del timore. Inoltre, il costituzionalista Leopoldo Elia, in uno dei seminari citati, evocò lo spettro di un conflitto tra presidente e parlamento che avrebbe bloccato la repubblica. Ciò, argomento serio, divenne però scusa per i leader rilevanti di allora per preferire il meccanismo di mediazione tra partiti, in realtà volontà di preservare il loro potere extra-istituzionale ed opaco. Il punto: Enrico dovrebbe annotare che il suo maestro Andreatta discusse a fondo la materia della verticalità e mai si sognò di liquidarla superficialmente come un pericolo autoritario contro cui mobilitare a priori come sta facendo, dequalificando la nazione tutta.

E’ evidente che l’Italia debba avere un modello di governo basato sull’elezione separata dei poteri esecutivo e legislativo, cioè, semplificando, una configurazione verticale del governo pur bilanciata da un parlamento con facoltà adeguate: il sistema orizzontale attuale, infatti, viene sempre di più corretto da atti verticali, per esempio la chiamata di Mario Draghi con poteri d’eccezione, di fatto anche se non nella forma. La verticalità è imposta da una situazione nazionale ed internazionale da brivido. Un capo dell’esecutivo eletto - si potrà discutere se con modello francese, statunitense o altro - avrebbe ovviamente più forza sui tavoli internazionali ed anche su quelli nazionali. Nel libro “Strategia 2028” (Angeli, 2017) lo scrivente ha indicato nella repubblica presidenziale lo strumento necessario ed essenziale per invertire il declino dell’Italia: serve verticalità per ridurre il debito pubblico e serve per avere più influenza nelle relazioni estere. Perché? Tale figura avrebbe la rappresentanza diretta e non mediata della maggioranza dell’elettorato nazionale e quindi potrebbe intervenire direttamente sui problemi con soluzioni rapide. Dovrebbe però mediare con il parlamento? Certo, ma sarebbe una mediazione tra istituzioni e non tra partiti, quindi più regolata e più probabilmente orientata alla convergenza che non al blocco degli atti (da studiare bene per il caso italiano, in correlazione con la legge elettorale). Ma a chi scrive interessa, soprattutto, la gestione dei rischi e delle emergenze: nello scenario generale si vedono rischi bellici, ambientali, energetici, di tenuta sociale per impoverimento, di marginalizzazione nelle alleanze vitali per l’interesse nazionale, nonché sfide di modernizzazione tecnologica e di competitività economica. Tutti questi rischi e sfide vanno visti entro un modello sistemico, e non uno per uno o caso per caso, e ciò richiede una governance di “supersintesi” possibile in democrazia solo ad un capo dell’esecutivo eletto direttamente. Sempre di più il governo di una nazione richiede una qualificazione cognitiva immensamente superiore a quella del passato, anche recente: mettere in una matrice integrata tutto il fabbisogno di azioni e misure. In questo senso va intesa la “verticalità”, non in quello di “autoritarismo lirico”. Potrebbe degenerare? Non lo si può escludere, ma proprio per questo sono stati inventati i limiti al potere esecutivo: uno o due mandati. Da un lato, la materia va studiata a fondo, ma dall’altro non c’è motivo per pensare di non trovare una formula di presidenzialismo allo stesso tempo equilibrata ed efficace. Nel prossimo futuro più necessaria che mai.

Ma è ancora diffusa, pur sempre meno, nella nazione la sensazione che il presidenzialismo sia un atto autoritario e non di efficienza istituzionale con beneficio di tutti come in realtà sarebbe. Per tale motivo – purtroppo amplificato da linguaggi di campagna elettorale irresponsabili - il dibattitto nazionale in materia può essere sviato e dividere la nazione su un tema che, invece, richiede un ampio consenso per attivare confronti razionali ispirati, appunto, al criterio della modernizzazione istituzionale. Tale ampio consenso sarebbe facilitato, e regolato, se Sergio Mattarella stesso, a tempo debito, aprisse una stagione di studio per l’evoluzione costituzionale in materia di modello di governo.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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