Chi scrive sarebbe sorpreso se la Cina attaccasse militarmente Taiwan, cercando di invaderla con costi enormi ed esito incerto, prima di tentare una sconfitta interna autoannessionista del partito indipendentista forzata dal ricatto di un blocco economico-navale. Infatti c’è una minoranza rilevante di filocinesi e di mondo degli affari che potrebbe essere sensibile alla minaccia economica, allargabile in correlazione con l’intensità della minaccia stessa. Per tale motivo non è credibile che la visita di Nancy Pelosi a Taipei sia stata, o solo, un’intemerata di questa signora, ma una mossa concordata riservatamente con l’Amministrazione Biden e/o studiata dalla burocrazia imperiale statunitense. La speaker della Camera, infatti, ha ottenuto il risultato politico di rafforzare l’idea che l’America non solo difenderà sempre Taiwan, ma che è anche pronta sia ad evitare il blocco navale sia a dare accessi all’economia taiwanese rendendo gestibile l’eventuale stretta di Pechino. La maggior parte dei commentatori ha espresso posizioni molto critiche verso quella che è apparsa una provocazione tipo “schizzo fuori tazza”. Ma non hanno voluto rilevare che Pelosi si è mossa con un consenso bipartisan nel Congresso. Non hanno nemmeno voluto rilevare che un esponente di rilievo del Kuomintang - erede dei nazionalisti cinesi sconfitti dal movimento comunista di Mao nel 1949 e rifugiatisi sull’isola, oggi all’opposizione contro gli indipendentisti - è volato a - o è stato convocato da - Pechino per trovare convergenze tra le due Cine, segnale molto rilevante per chi sa leggerlo. Nemmeno hanno valutato che la tensione prodotta da Pelosi è risultata molto utile all’Amministrazione Biden nelle contingenze.
L’America, infatti, è in difficoltà nei negoziati Ipef (Indo-Pacific Economic Framework) perché gli alleati del Pacifico chiedono più vantaggi economici nel mercato interno statunitense che Biden non può concedere, in particolare a ridosso delle elezioni parlamentari di mid-term nel prossimo novembre, perché l’elettorato statunitense è ostile ad un eccesso di apertura alle importazioni considerato impoverente, sia a destra sia a sinistra. E senza accordo economico, quello politico di contenimento del potere cinese è fragile. Quindi qualche testa d’uovo a Washington ha pensato che costringere la Cina a mostrarsi aggressiva verso Taiwan avrebbe indotto gli alleati dell’America nel Pacifico a mettere in priorità la loro sicurezza lateralizzando il beneficio economico per accedere all’ombrello militare statunitense. Forse è casuale, ma, per esempio, l’India ed altri hanno iniziato esercitazioni militari congiunte con l’America. Chi scrive non ha info precise su questa mossa, ma la ha ipotizzata in base ad una battuta di un collega operante in think tank strategici statunitensi: i cinesi hanno una capacità formidabile nel “gioco del Go” (conquista di uno spazio circondando con le pedine l’avversario), ma noi siamo più bravi nel gioco degli scacchi. Quando chi scrive gli ha chiesto di quale mossa stesse parlando, l’interlocutore ha risposto: l’alfiere nero in difesa prende il controllo di una diagonale sulla scacchiera. Allora per lo scrivente - di scuola scacchistica triestina - lo scenario è diventato (pur ipoteticamente) chiaro. Questa diagonale farà male a Pechino. Anche perché nel prossimo incontro tra Xi Jinping e Joe Biden, se venisse confermato verso novembre, l’americano potrebbe dire che ha tentato di dissuadere Pelosi, come in effetti apparso sui media, che la signora ha avuto bisogno di visibilità perché il marito è stato accusato di fare business ombrosi, che il Presidente poco può fare per condizionare un parlamentare, ecc., e che la sua Amministrazione è sincera nel considerare una Cina unica e nell’attuare nei suoi confronti la politica delle “tre C” - contenimento, competizione, ma anche collaborazione - enfatizzando la terza. Infatti, per non farsi prendere in giro, Xi ha da poco annunciato che interromperà la collaborazione con l’America in materia di ambiente ed altri temi. Ma a Biden poco importa: fino a poco fa era in grande imbarazzo perché centinaia di imprese statunitensi stavano chiedendo di ridurre i dazi sull’import cinese, alcune sollecitate dall’intelligence cinese, ma vista la mobilitazione militare di Pechino ora tale mossa è politicamente difficile ed è stata rinviata, evitando a Biden stesso, già debole, ulteriori dissensi popolari e contrasti con gli alleati a cui l’America chiede di ridurre la dipendenza dalla Cina. Appunto, il nero è in svantaggio nei confronti del bianco in una strategia frontale e per questo deve prendere le diagonali sulla scacchiera. Resta da capire se la mossa è stata studiata da Pelosi per far riprendere tono ad una Amministrazione democratica barcollante o se è la stessa Amministrazione ad averla concordata. Divertente vedere che nella sinistra americana c’è qualche carnivoro entro una maggioranza di vegetariani.
Più seriamente, il sostegno economico di Taiwan in termini di accesso ai mercati, pur considerando l’interesse nipponico a sostenerne l’indipendenza, potrebbe eccedere le capacità statunitensi. Tale ipotesi chiama in causa l’Ue: qualche nazione ha già rinforzato i legami commerciali, l’Italia sta esplorando il tema, ma non c’è ancora una politica determinata per timore (tedesco) della reazione cinese. Andrà fatta. Entro le democrazie ci sono una sinistra e una destra divise, ma queste devono unirsi verso l’esterno nel contrasto ai regimi autoritari e nella difesa delle democrazie aggredite.