Nel confronto globale tra blocchi sinorusso ed euroamericano, la convergenza dell’area islamica è fattore chiave per la vittoria dell’uno o dell’altro. Il dilettantismo dell’Amministrazione Obama che intervenne nella guerra civile entro l’Islam sunnita a favore delle correnti antisaudite ed attuò una politica molle verso l’Iran sciita creò una frattura tra Stati Uniti e Arabia. Questa fu riparata dall’Amministrazione Trump, che favorì il Trattato di Abramo tra Israele ed Emirati più altri arabi, con il consenso saudita, ma solo in parte perché non si ingaggiò pienamente nella difesa militare contro la minaccia iraniana. Il caotico disingaggio statunitense dall’Afghanistan da parte dell’Amministrazione Biden, precorso però da una postura non più combattente di quella Trump, fissò l’immagine di un’America inaffidabile. Ora l’Amministrazione Biden, dove il ticket presidenziale è debole, ma la componente ministeriale connessa con la burocrazia imperiale è solida, cerca di riparare la relazione con Arabia-Emirati. La visita di Biden nell’area non conclude questa riparazione, ma segna il passaggio dalla fase negoziale preliminare – che prese accelerazione nel Forum del Negev (Israele) qualche mese fa - ad una successiva più strutturata. Pertanto è ora che l’Italia connetta più decisamente il proprio interesse nazionale a questo sviluppo.
I veri negoziati sono segreti. Ma nel 2019 chi scrive partecipò al convegno panarabo organizzato dallo Emirates Policy Center (Abu Dhabi) a cui parteciparono rappresentanti di Israele e Stati Uniti e si fece un’idea delle tendenze che aiutano le interpretazioni della situazione corrente, ovviamente con lo status di ipotesi soggettive. Il punto è chi assicura all’Arabia che l’Iran venga dissuaso ed eventualmente venga sostenuta da armi di superiorità? Spifferi segnalano che l’America potrebbe fornire ad Israele armi ad energia di nuova generazione. Pertanto c’è una base per pensare che l’America, riluttante ad ingaggi diretti (pur non ritirista) e a fornire superarmi, tra cui l’atomica, al mondo arabo nonché non del tutto convinta ad abbandonare il negoziato con l’Iran, dia a Gerusalemme lo status di difensore del mondo sunnita. Cosa che Israele accetterebbe sia come rafforzamento della coalizione anti-iraniana sia come vantaggio geopolitico per convergere con il mondo arabo stesso. Probabilmente l’America armerà i sunniti per la loro difesa da attacchi convenzionali, ma per minacce non convenzionali darà un mandato di raggio regionale ad Israele. Tale configurazione è di fatto già in atto nelle relazioni tra Israele ed Emirati sotto l’occhio benevolo dei sauditi. Ma il blocco saudita vuole di più dall’America per non cedere al corteggiamento sinorusso e sta segnalando che si comporterà nella sua politica petrolifera in modo convergente se Washington glielo darà e sarà affidabile. Qui l’Amministrazione Biden è in difficoltà per perfezionare la seconda fase della riparazione, ma per lo meno ha ottenuto che il blocco sunnita (30% del petrolio mondiale) ci pensi due volte prima di prendere una posizione neutralista, di fatto favorevole a Cina e Russia. Infatti il negoziato procede via iniziativa I2U2, cioè Israele, India, Arabia, Emirati. L’America, cioè, segue la strategia di creare alleanze regionali caratterizzate da convergenza con l’America stessa, ma anche con autonomia propria, tipo il Quad nell’Indo-Pacifico. Non è detto che funzioni, ma è improbabile che il blocco sunnita diverga troppo dall’America.
Chi scrive immagina che la funzione estera italiana segua con molta attenzione questo scenario. Roma ha una presenza militare rilevante nel Golfo. Ma più importante è l’eventuale connessione degli sviluppi abbozzati con le aree di interesse primario per l’Italia per il rifornimento di petrolio e gas a prezzi sostenibili: Libia ed Algeria. Il clima di convergenza entro il blocco sunnita, in cui va incluso l’Egitto, potrà aiutare la stabilizzazione della Libia? La recente elezione di un presidente del Noc (l’Eni libico) e l’annuncio della ripresa della piena produzione/esportazione di energia è connessa con il nuovo clima politico? Sarà d’aiuto per il negoziato con l’Algeria? Potenzialmente sì. Ma cosa dovrebbe fare di più l’Italia man mano che lo scenario detto trovi conferme? A chi scrive sembra evidente che Israele, in cointeressenza con l’Egitto, sia l’interfaccia tra Mediterraneo costiero e profondo (orientale, cioè il Golfo). Le relazioni andrebbero approfondite con l’obiettivo di portare stabilità alla striscia costiera dove ci sono Libia, Algeria e Marocco ed il Mediterraneo profondo occidentale (il Sahel). Come? Puntando a diventare partner del Trattato di Abramo. Con quali doni da scambiare? L’Italia ne ha pochi geopolitici, ma molti industriali ed economici. Primo tra tutti l’acqua dolce: una “politica di partenariato per i dissalatori” visto che anche l’Italia a rischio di desertificazione dovrà iniziare a costruirli. Poi una politica di garanzia per la fornitura di cibo (in cambio di energia) ed altro del genere. Cruciale, infine, un ampliamento degli accordi bilaterali esistenti tra Italia ed Israele in materia di tecnologie civili e militari. Quando nel 2001 – 2005 chi scrive fu consigliere del ministro della Difesa Antonio Martino (un grande) seguì un accordo bilaterale tra Italia ed Israele e ricorda che l’interlocutore israeliano disse che l’Italia era l’unico Paese dell’Ue di cui Israele si fidava. Sembra razionale rinforzare questa relazione nel contesto qui tratteggiato.