Pur essendoci motivi che giustificano l’insistenza di Mario Draghi per ottenere un tetto europeo ai prezzi del gas, tra cui la rapidità degli effetti calmieranti nel breve periodo molto critico, l’analisi di “geopolitica economica” – come condotta dallo scrivente - ritiene questa strategia inefficace e ne propone un’altra: intervenire sui fornitori di gas e petrolio via proiezioni di potenza con calibrature intelligenti di bastone e carota. Tali proiezioni implicano azioni unilaterali italiane e di presa di posizione stimolativa multilaterale nell’Ue e nella Nato.
Analizziamo prima la dimensione unilaterale. Roma è stata molto rapida ed abile nel siglare contratti bilaterali di fornitura alternativa di gas con Algeria, Congo Brazzaville, Angola, Mozambico, Qatar e Azerbaijan e ha sondato l’utilizzo delle risorse nell’offshore di Israele ed Egitto. Ma i prezzi dei contratti, forse ancora in rifinitura, sono sospettabili di essere più alti di quanto sarebbe conveniente. Quindi, per aumentare le quantità disponibili, anche modo per calmierare i prezzi mostrando meno necessità assoluta ai fornitori, servirebbe più gas (e petrolio) dalla Libia. Ora questa ne produce molto meno del potenziale per motivi di disordini interni complicati da giochi conflittuali di gruppi armati ed influenze esterne. Ma è un fornitore talmente essenziale da giustificare lo studio di una proiezione di potenza italiana. Si tratta di dare soldi da ricavo estrattivo a circa 200 tribù, esercitare violenza nascosta via truppe speciali contro chi è di ostacolo, creare un presidio aeronavale a ridosso per il controllo militare/dissuasivo del territorio, reclutare personale locale convergente e sostenerlo nell’operazione di riordinamento interno. Possibile? L’Italia ha tutti i mezzi necessari per tale azione. E perché non l’ha fatta finora? Nessun politico ha trovato conveniente dare l’ordine di farlo. Non senza motivo: in Libia c’è una guerra multipla tra wahabiti filo sauditi (sostenuti da Emirati, Sauditi ed Egitto più Russia e, fino a poco fa, Francia) e fratelli musulmani (sostenuti da Qatar e Turchia). E’ un caos perdurante. Ma ora l’Italia ha necessità di mettere ordine in un territorio diventato vitale per i propri interessi. Chi scrive si trattiene dal valutare diverse opzioni sul come per non imbarazzare chi potrebbe condurre l’azione. Si limita a dire che serve un accordo bilaterale riservato con gli Stati Uniti (anche utile per inserirlo tra i temi della visita di Joe Biden in Arabia a metà luglio). Servirebbe anche un accordo con la Francia, esteso al Sahel (c’è una bozza). I mercenari della russa Wagner? Adesso è possibile “trattarli” militarmente. La Turchia? Al momento è centrale per la Nato, ma ha molto bisogno dell’Alleanza per non implodere economicamente: qui la diplomazia saprebbe come fare se sostenuta da un dispiegamento militare italiano con l’accordo di Usa e Francia. Il punto: Roma deve decidere se ingaggiare la sua capacità militare o perdere tempo e gas inseguendo una pacificazione in Libia difficilmente ottenibile senza l’impiego della forza pur bilanciata da carote.
L’Olanda difende il mercato spot residente del gas dove avviene la moltiplicazione del prezzo del gas stesso via mediazioni finanziarie multiple. E lo fa con la scusa del libero mercato. Chi scrive è liberista, ma crede nei mercati regolati. Si invita l’intelligence italiana a dettagliare come avvengono i gonfiaggi affinché Roma possa porre la questione ad Amsterdam, invitandola a regolare questa piazza finanziaria dedicata alle materie prime, minacciando di porre in sede Ue la questione se non lo fa: questo sarebbe un vero “price cap” sostanziale, in modi riservati, pur stando attenti a non rendere de-competitiva la piazza olandese in favore di altre non regolabili dall’Ue. Ad occhio è possibile un meno 10% medio se ben regolamentato il luogo, lasciando un margine alla speculazione (che non va demonizzata mentre i regolatori distratti o compiacenti sì).
Al riguardo delle operazioni multilaterali, l’Italia dovrebbe mettere più pressione all’Ue per favorire relazioni con l’Africa basate su inclusioni e aiuti in cambio di energia e materie prime depurate da qualsiasi sospetto di neocolonialismo. L’Ue ha già impostato una linea di azione in tal senso, in correlazione con il G7, e l’Italia ha interesse a far convergere la forza economica dell’intera Ue con le iniziative unilaterali per ottenere una riduzione dei costi di fornitura in cambio di facilitazioni europee ai fornitori: condivisione di tecnologie, aperture commerciali, operazioni industriali intrecciate, addestramento militare. L’affiliazione dell’Africa al blocco delle democrazie (compito che l’America sembra aver delegato agli alleati) richiede più carota che bastone? Certamente con le nazioni già convergenti, ma parecchi Paesi sono sotto influenza cinese o russa nonché basi dello jihadismo. Tale situazione implica ingaggi militari, prudenti, ma decisi. Gli europei, Francia a parte, ma con difficoltà, non sono preparati a farlo. Pertanto l’Italia, con ormai esperienza pluridecennale in missioni internazionali ed un ottimo apparato tecnico ha l’opportunità di usare il suo potenziale come punta di sicurezza per la proiezione di potenza in collaborazione con altri europei e sperabilmente in una missione Nato. In conclusione e tralasciando qui l’essenziale aumento delle produzioni nazionali, la mitigazione dei prezzi energetici dipende da azioni geopolitiche nazionali e pressioni multilaterali, oltre che bilaterali riservate, più che da tappi.