Il lavoro congiunto negli ultimi mesi tra Paul Bremer, governatore americano dell’Iraq, e Lakhdar Brahimi, inviato Onu, ha trovato una formula di alto consenso, sia tra i partiti iracheni sia internazionale, per il trasferimento dei poteri dalla coalizione alleata ad un governo sovrano il 1° luglio 2004. Prevede: (a) una rappresentanza assembleare di tutti gli interessi riconosciuti in Iraq; (b) un governo che ne sia espressione con dei meccanismi di composizione; (c) per gestire il Paese fino alle elezioni politiche previste nei primi mesi del 2005. La legittimità del governo di transizione sarà basata su un mandato dell’Onu concordato con gli Stati Uniti che continueranno ad avere il comando del contingente militare internazionale che assicuri la sicurezza dell’Iraq. Così si prospetta oggi, pur potendo variare tanti dettagli, il contenuto della risoluzione che verrà approvata tra qualche settimana. Questa risolverà molti problemi dal punto di vista delle opinioni pubbliche occidentali che guardano alle agende di riordinamento dell’Iraq con gli occhi delle loro priorità politiche ed ideologiche. Per esempio, la richiesta di un maggiore convolgimento dell’Onu come ritornello elettorale. In realtà è già coinvoltissimo dal 2003 in base alla risoluzione 1511 che da pieno mandato agli Usa ed agli alleati tra cui noi, di gestione del Paese. E lo sarà di più dopo il 1° luglio. Ma la formula di governo detto riuscirà a risolvere i problemi degli iracheni? Certamente l’approccio compositivo degli interessi aiuterà ad isolare meglio le bande infiltrate da Al Qaida, i residui del regime saddamita e le frange estremiste sciite che, pur poco numerose, stanno infuocando il Paese. Ma il pilastro principale della stabilità riguarderà l’economia: se la gran massa degli iracheni crederà nel miglioramento delle proprie condizioni di vita, allora parteciperà più decisamente alla costruzione di un sistema democratico, ovviamente nella variante adattata a quel luogo e cultura.
Per tale consapevolezza gli Usa hanno iniettato, dall’estate del 2003, enormi capitali e attivato programmi di ordinamento accelerato del sistema iracheno. La nuova moneta (Dinaro) è stata creata nel settembre 2003 ed è molto stabile. La disoccupazione che era al 60% nel periodo di Saddam ora è dimezzata. In meno di un anno sono stati venduti 300mila telefonini e altrettante automobili. Poche settimane fa ha preso il via un progetto di 18,6 miliardi di dollari per il rifacimento delle infrastrutture. La ricostruzione del sistema petrolifero procede in modo velocissimo allo scopo di dare allo Stato iracheno, che ne è proprietario, degli introiti capaci di bilanciare i deficit annui il prima possibile. In generale, molti dati mostrano un boom. Ma anche i primi problemi di liberalizzazione di un’economia per trentacinque anni sottoposta ad una dittatura dirigista. Circa 200 aziende statali, che occupano 500mila persone, sono totalmente decotte e non reggono la concorrenza dei beni importati. La logica economica vorrebbe la loro privatizzazione, ma i lavoratori non sono disposti a mettersi sul libero mercato perché abituati al totale assistenzialismo. Se i nuovi benestanti sono circa 400mila su 25 milioni di abitanti, un buon avvio, tuttavia una classe media che possa, o voglia, fare a meno delle tutele non si è ancora formata. Quindi bisognerà ben bilanciare l’efficienza economica per reggere tecnicamente lo sviluppo con il requisito di protezione degli strati più deboli della società in modo tale che il dissenso economico non si trasformi in consenso per la violenza. Il metodo della composizione degli interessi, pur a costo di inefficienze, è il miglior metodo per ottenere tale bilanciamento.