Le aziende italiane fortemente internazionalizzate stanno cercando di capire quali potranno essere le zone sicure per i loro affari nel contesto di una sempre più evidente “deglobalizzazione conflittuale” che vede la formazione di un blocco dei regimi autoritari contrapposto a quello delle democrazie. Chi scrive osserva che c’è anche un fenomeno di “riglobalizzazione selettiva”, cioè la strutturazione, accelerata dai venti di guerra, di un mercato delle democrazie: questo sarà certamente una zona sicura. Ma quanto ampia? Gli Stati Uniti, nonostante la forza di ali protezioniste a sinistra e destra, hanno compreso che il consolidamento politico del complesso democratico richiede una base economica. Ne sono esempio i negoziati tra America e 8 nazioni dell’Indo-Pacifico (Ipef) e la convergenza economica euroamericana, pur lontano un accordo economico sistemico, che si sta approfondendo. L’Ue ha impostato con l’India un processo negoziale con lo scopo di siglare nel futuro un trattato economico prevedendo che l’accesso al mercato cinese, in prospettiva, sarà più impervio così come ha iniziato a sondare le possibili convergenze con l’Africa. L’Italia sta sostituendo i rifornimenti di energia fossile dalla Russia con quelli dal Mediterraneo e dall’Africa costiera: ciò comporta un ombrello di sicurezza Usa/Ue/Nato/G7 e azioni di stabilizzazione delle nazioni implicate. Pertanto la zona sicura potrà estendersi oltre il perimetro del complesso democratico includendo nazioni non democratiche, ma compatibili. Tale area ha trovato un primo abbozzo nel summit delle democrazie organizzato da Washington nel dicembre scorso con circa 110 nazioni: nel secondo summit a fine anno è prevista una strutturazione. Tali movimenti fanno pensare che il mercato delle democrazie potrà essere il più grande al mondo e soddisfare le aziende nonostante la riduzione della globalizzazione. Ma l’analisi di geopolitica economica trova pericolosi confini troppo duri tra i due blocchi. La Russia è il maggior produttore di energia fossile e minerali critici nel mondo e vive di questo perché non ha altro. La Cina sta tentando un modello autarchico, ma dipende molto dall’export e le nazioni importatrici, pur alzando barriere contro Pechino, non riusciranno a sostituirlo del tutto. Pertanto lo scenario migliore è quello riuscire a fissare confini di influenza perché quando c’è un confine è probabile ci sia anche un valico che eviti crisi totali. Dopo il congelamento della guerra cinetica in Ucraina questo sarà un tema che la politica dovrà trattare con molto realismo.