Cosa sta imparando Pechino dall’osservazione della guerra cinetica in Ucraina e di quella economica lanciata dal complesso democratico globale contro la Russia? Molto. Ed è probabile che tale insegnamento modifichi le strategie della Repubblica popolare cinese, rendendole più “furbe”. Chi scrive ritiene, in convergenza con Lucio Caracciolo, Direttore di Limes, che l’attuale conflitto con la Russia non dovrebbe farci distogliere l’attenzione dalla vera guerra in atto del globo tra America (3° Roma) e Cina nazionalcomunista (2° Cartagine). E ha tentato una prima bozza di analisi, certamente ipotetica e incompleta, ma forse utile per non perdere di vista il vero nemico prospettico delle democrazie.
Prima di tutto serve una fotografia della situazione che il Partito comunista cinese sta gestendo. L’economia cinese ha raggiunto un picco di crescita anni fa e ora sta rallentando. Nel rallentamento pesa il buco finanziario creato dall’eccesso di leva fornito dal sistema bancario a quello immobiliare: migliaia di strutture vuote, in generale “sbolla”. Poi pesano il fallimento del vaccino anticovid cinese e l’ostinazione di non ammetterlo, optando per quarantene massive che hanno bloccato un’aliquota rilevante delle produzioni ed export cinesi. Ma, soprattutto, pesa l’isolamento internazionale della Cina per la percezione da parte degli attori di mercato che stia diventando tossica e zona poco sicura anche perché vulnerabile a crescenti compressioni da parte degli Stati Uniti: gli investimenti esteri diretti, il vero volano della crescita economica cinese negli scorsi decenni, stanno diminuendo. Imploderà? Un regime autoritario, diversamente da una democrazia, ha mezzi di controllo sociale, economico e monetario verticali che gli permettono di scaricare i costi della crisi sulla popolazione senza che questa possa ribellarsi apertamente perché sarebbe fucilata o imprigionata in campi di rieducazione. Poi può ricorrere al nazionalismo aggressivo esterno per compattare il fronte interno. In sintesi, la pur forte crisi interna e reputazionale cinese non ha intaccato il disegno di diventare una potenza globale simmetrica in contrapposizione all’America, ma certamente sta producendo una revisione della strategia. Il caso russo offre molti spunti per tale aggiornamento.
Pechino ha interesse ad una configurazione multipolare del sistema e mercato internazionale per frammentare le opposizioni alla sua penetrazione e affermarsi come polo più grande tra gli altri. La compattazione delle democrazie contro la Russia crea una tendenza bipolare. Ciò porta Pechino a prendersi la Russia indebolita (e Vladimir Putin ad accettarlo per salvarsi), con l’Asia centrale, e le loro enormi risorse per creare un blocco sufficientemente grande del capitalismo autoritario contro quello democratico, prendere più territorio possibile nell’area grigia tra i due blocchi (Africa, Sudamerica e area islamica) e tentare di togliere l’India dall’influenza delle democrazie, nonché penetrare il blocco democratico attraverso le sue nazioni deboli. Tra queste, il bersaglio che appare meno difficile è l’Italia perché Pechino ha già investito molto sul reclutamento di figure influenti, che ora potrebbe allargare ereditando da Mosca-Putin i suoi reclutamenti. Il secondo è la Francia non per penetrazione, ma perché Parigi ha interesse al multipolarismo con lo scopo di dare spazio ad una Ue francocentrica capace di autonomia dall’America. La Germania sembra la più ricattabile dalla Cina per la dipendenza industriale ed esportativa, ma Berlino ha deciso di stare nel fronte delle democrazie, pagandone i costi dovuti alla rinuncia (parziale) al mercantilismo, e comunque di puntare sull’India come sostituto del mercato cinese. Contromisure? I generali statunitensi dovrebbero parlare seriamente con i colleghi russi chiedendo loro se veramente vogliono diventare vassalli della Cina. Qualche movimento è iniziato e l’ipotesi di defenestrare Putin per salvare l’indipendenza della Russia è in valutazione, ovviamente prudente, a Mosca. Per l’Africa ci vuole un maggiore ingaggio europeo, sotto ombrello G7, inclusivo e non rude come la penetrazione cinese che per questo trova ostacoli crescenti. Al riguardo del Sudamerica ci vorrebbe un’azione congiunta euroamericana di facilitazioni e sostegni. L’America, poi, dovrebbe rassicurare di più l’Arabia e dintorni evitando che questa cerchi garanzie contro l’Iran da Cina e Russia che l’influenzano. Al riguardo dell’Italia? Giornalismo investigativo per allertare politica e istituzioni di sicurezza.
Ma l’apprendimento cinese in materia militare è quello che causerà più sviluppi: maggiore priorità al controllo dell’orbita e da “dietro” l’orbita stessa (Luna ed esohabitat come portaerei spaziali), svecchiamento totale dell’arsenale, più spinta a cyberwar e robotica bellica, ecc. Qui la Cina potrebbe diventare competitiva se il complesso democratico non unisse tutte le sue risorse, concentrandole per la superiorità (eso)strategica. Potrebbe diventare competitiva anche sul piano del modello sociale: le democrazie si stanno spaccando tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri e da qualche tempo Xi cerca di instaurare un “modello oliva” e di armonia sociale puntando al benessere della classe media che, al momento, è improbabile, ma non escludibile: ciò porta l’attenzione sulla riparazione del capitalismo democratico per renderlo produttivo di ricchezza diffusa socialmente e riferimento mondiale. La Cina è un nemico potente delle democrazie da non sottovalutare.