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Carlo Pelanda: 2022-4-3La Verità

2022-4-3

3/4/2022

La necessità di un fondo europeo d’emergenza rapido

Chi scrive da tempo invoca un fondo d’emergenza dell’Ue, combinato ad un programma di acquisto del debito degli Stati simile al Pepp varato per la crisi epidemica (ora chiuso) e con l’estensione delle regole ordinative dell’Ue stessa allo scopo di permettere aiuti di Stato alle unità economiche più colpite dai rincari dell’energia e dalla scarsità/costi di materie prime/semilavorati che bloccano le produzioni in molteplici settori. Una misura simile e flessibile in base alle esigenze sarebbe già stata necessaria mesi fa, ma è stata bloccata sia da analisi tecniche errate che valutavano come temporaneo lo shock sia da un gruppo di nazioni che ha voluto mettere in priorità l’uscita dai programmi straordinari pandemici, valutando come tema secondario il fatto che lo shock stesso si stava prolungando ed aggravando per motivi geopolitici. Ora che è stata accesa una guerra economica globale contro il regime autoritario russo che inevitabilmente ha conseguenze recessive su chi emette le sanzioni, in particolare per gli europei occidentali che devono azzerare le forniture dalla Russia senza avere l’indipendenza energetica, alimentare e mineraria che invece gli alleati Stati Uniti possiedono, pur non completa quella mineraria stessa, è veramente sorprendente e pericoloso che Ue e Bce non abbiano ancora varato un fondo di contingenza d’emergenza che permetta agli Stati di attutire lo stress sulle loro economie nazionali. Chi scrive ha annotato con pur preoccupata soddisfazione tecnica che anche l’ex Direttore generale per la ricerca della Bce, Prof.  Lucrezia Reichlin, abbia espresso sul Sole 24 di sabato critiche simili a Ue e Bce: evidentemente il gap di prestazione da parte delle istituzioni europee è talmente vistoso da suscitare critiche anche dai più euroconvinti. Infatti tra gli analisti indipendenti, ricercatori universitari o di mercato, sta aumentando il coro dei critici con il corredo di appelli a fare presto.

Ma potrebbe il governo italiano fare di più sovranamente? In teoria sì, ma se riallocasse la spesa inutile per il reddito di cittadinanza a chi non ne ha bisogno (probabilmente il 60%) cadrebbe il governo sul lato pentastellato o comunque si esporrebbe ad un contenzioso legale inabilitante; se limitasse le esagerate assunzioni di personale nel settore pubblico l’effetto, ormai, sarebbe tardivo; per azzerare le accise sui carburanti, mettere un tetto sui prezzi dell’energia e fornire compensazioni alle aziende danneggiate dalla guerra economica contro la Russia dovrebbe aprire un extradeficit sovrano che, senza sostegno da Ue e Bce, sarebbe colpito dal mercato con un picco devastante del costo di rifinanziamento dell’enorme debito pregresso. Infatti, il governo italiano è criticabile sul piano della politica di bilancio non tanto per le misure troppo limitate dovute alle mancanze delle istituzioni europee, ma per il fatto che Mario Draghi non si tolga una scarpa e la sbatta sui tavoli europei, mostrando con la propria credibilità tecnica che l’Italia, oltre alla Germania, stanno pagando il prezzo più duro. Probabilmente sta lavorando silenziosamente, ma c’è un problema di tempistica che secondo chi scrive richiederebbe uno scamiciarsi: la Germania, con lo stesso problema dell’Italia, ha riserve e posizione politica che permettono al suo governo di gestire lo stress in camicia e cravatta, ma Roma no e per questo dovrebbe mettersi in canottiera e sbattere le scarpe sui tavoli (si invitano i produttori dei grandi marchi italiani a competere per dare al nostro premier scarpe, camicie a sbottonature rapida e canottiere di qualità e inventiva eccezionali che facciano notizia/marketing globale).  

Per quali soluzioni? Certamente l’accensione immediata di un Fondo europeo d’emergenza a quantità variabile sostenuto da debito comune, acceso dall’Ue. Ad integrazione o parziale sostituzione, la Bce dovrebbe accendere un programma di acquisto debiti degli Stati a quantità variabili e senza scadenza prefissata nonché privo di “chiavi di capitale” nazionali per l’accesso vista la probabile differenziazione del fabbisogno. Ci sarebbe anche l’opzione di dedicare parte del Pnrr per compensazioni a seguito della nuova emergenza, comprese le spese per i rifugiati. Qualcosa del genere dovrà essere fatto, anche un mix andrebbe bene,  per i seguenti motivi: 1) senza l’intervento europeo detto l’Italia, insieme a parecchi altri europei, andrà in recessione o Pil minimo nel 2022; 2) la fiducia delle imprese, e la produzione industriale, sono in caduta frenabile e forse invertibile da compensazioni e limitazioni all’inflazione, annotando che il sistema industriale italiano è già in recessione dei margini (dal settembre 2021) che peserà sugli investimenti futuri e sulla competitività; 3) le previsioni della Bce fanno intendere che l’inflazione nell’Eurozona tornerà sotto il 2% nel 2024 (che per inciso non è coerente con la fretta di ridurre la pompa di capitale generata dai programmi Pepp e App),  ma quelle più solide e più considerate dal mercato stimano che resti attorno al 4% nel 2024 stesso: che non venga in testa alla Bce di alzare i tassi e mandare in recessione intenzionale l’area per ridurre così l’inflazione (la tentazione sembra esserci); 4) Il ministro dell’Economia che sta preparando il Def stima che il Pil italiano vada verso il 3% nel 2022, ma tale risultato implica sostegni d’emergenza come quelli detti, e immediati, perché la tendenza senza di questi è verso lo zero. Da un lato, la variabile guerra cinetica locale in Ucraina ed economica globale potrà cambiare lo scenario, ma non l’esigenza di attivare entro poche settimane gli interventi d’emergenza Ue e Bce.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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