Il ministero della Transizione ecologica ha di fatto azzerato la nuova ricerca di giacimenti di gas in giurisdizione italiana nonché ridotto il numero delle concessioni. Da un lato, tale evento non è inatteso perché conseguenza del “Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee” (Pitesai) varato dal governo ad inizio anno che ha molto ristretto le aree terrestri e marine idonee allo sfruttamento e ricerca di combustibili fossili. Dall’altro, lo scoppio dell’emergenza gas in termini di rischio sia di scarsità sia di prezzi insostenibili, combinato con la volontà espressa dall’Ue di staccarsi dai rifornimenti russi, considerando che l’economia italiana è la più dipendente dal gas nel mix di fonti energetiche tra quelle europee – quasi il doppio di quella tedesca – ha fatto sperare molti attori economici in una revisione del Pitesai in senso espansivo. Ciò non è avvenuto e l’Italia è al momento configurata in modi autolimitanti per produrre circa 3 miliardi di metri cubi/anno mentre il suo potenziale gasifero nazionale corrente è vicino ai 7-10, con operazioni di revamping dei giacimenti già attivi o sfruttamento di quelli già individuati, alcuni entro pochi mesi ed altri entro un biennio. Inoltre, la nuova ricerca promette di portare entro 5 anni tale potenziale verso i 30 miliardi di metri cubi/anno, forse di più (su un fabbisogno nazionale tra i 70 e gli 80). Il requisito di freddezza/consistenza analitica impone di non scatenare solo critiche ad una decisione governativa e parlamentare che appare folle, ma anche di individuare quale sarebbe un piano realistico sostitutivo del Pitesai.
Chi scrive vede il tema con occhi di “geopolitica economica”. Il governo sta cercando di assicurare un rifornimento di gas alternativo a quello russo con molteplici azioni: più forniture dalla costa meridionale del Mediterraneo (Algeria, Libia e, sperabilmente, un gasdotto da Israele-Egitto via Cipro e Grecia con approdo a Otranto), aumento delle forniture via Tap, due rigassificatori aggiuntivi mobili (navi specializzate) per ricevere più gas liquido da Qatar, Stati Uniti, forse Mozambico, Nigeria ed Angola, oltre alle forniture dall’area nordica. In teoria, sul piano delle quantità tale mossa dovrebbe soddisfare il fabbisogno nazionale entro 2 o 3 anni. Ma in pratica c’è un rischio di prezzo elevato e di sicurezza. Il primo può essere mitigato da contratti lunghi con i produttori, ma questi vorranno rassicurazioni, investimenti ed accessi per uno scenario pluridecennale dove l’Ue tenderà a ridurre la domanda di gas per il crescere delle energie alternative, tra cui il nucleare a fissione di nuova generazione e poi quello a fusione. Ciò implica un’operazione geopolitica complessa dove bisognerà creare un presidio militare contro sabotatori combinato con “politiche ombrello”, dove probabilmente l’ombrello stesso dovrà essere fornito dalla Nato/Ue per il Mediterraneo in operazioni congiunte con un G7 allargato per la messa in sicurezza del lato atlantico e indo-pacifico dell’Africa australe. Si potrà fare, ma per raggiungere una sicurezza sufficiente energetica, che poi si trasforma in fiducia economica e prezzi calmierati, l’Italia dovrebbe poter soddisfare almeno la metà del proprio fabbisogno (che si ridurrà gradualmente man mano che prendono massa le fonti rinnovabili) attraverso produzioni nazionali o fortemente controllabili. Possibile? Secondo chi scrive sì, ma con il blocco della ricerca esplorativa non lo possiamo sapere. Quindi sul piano dei permessi di ricerca mineraria certamente il Pitesai va modificato per permetterla. Solo in giurisdizione italiana? No, perché l’Adriatico, che “galleggia” sopra una bolla di gas, è diviso tra le zone economiche delle nazioni costiere. Roma dovrebbe coinvolgerle tutte per formare un consorzio “Lago adriatico” dove condividere i costi di estrazione, sistemi di distribuzione, standard di (eco)sicurezza, ecc. Per esempio, la Croazia ha un progetto espansivo vicino alle aree che il Pitesai vieta, altro motivo di sua inconsistenza. Molti dati, poi, fanno ipotizzare abbondanza di gas nei fondali a sud del Meridione italiano. Se confermato, ciò suggerisce la creazione di zone economiche congiunte con Malta e forse altre nazioni, in correlazione con la strategia di sicurezza del Mediterraneo sopra abbozzata, includendo la Francia nell’analisi-sfruttamento del Tirreno. Così l’Italia potrebbe diventare uno hub gasifero per l’Ue, aumentando la propria forza negoziale in questa e, inoltre, avere più massa gasifera per soccorrere altre nazioni, per esempio la Germania che sta siglando contratti bilaterali di reciproca assistenza, con vantaggio politico poi traducibile in economico. In particolare, un buon rifornimento da fonti viciniori controllabili è un requisito per calmierare i prezzi. In conclusione, l’aver rinunciato perfino a fare ricerca è una mossa che in questi tempi – dove la dipendenza dal gas per l’Ue ha realisticamente un orizzonte di almeno 25/30 anni – è talmente irrealistica da spingere una, qui invocata, coalizione di razionali a sostituire il Pitesai con un progetto strategico serio, rapidamente.