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Carlo Pelanda: 2022-4-24La Verità

2022-4-24

24/4/2022

La relazione tra diversificazione energetica dell’Italia e sua proiezione di potenza con alleati adeguati

Da un lato, Roma ha fatto e sta perfezionando una mossa molto audace per differenziare le fonti di energia fossile puntando al Mediterraneo, Caspio, Africa e Golfo per sostenere una riduzione dell’import di gas dalla Russia. Dall’altro, molti analisti, a parte la diatriba se la sostituzione potrà avvenire in 18 o 36 mesi o più, si chiedono come potrà garantire la sicurezza di queste forniture che provengono da zone instabili o vulnerabili ad interferenze russe e cinesi nonché a sabotaggi jihadisti. Inoltre non è chiaro quali potranno essere i prezzi.

Le aree dove stanno evolvendo i contratti di maggiore o nuova fornitura a seguito di accordi preliminari e bilaterali tra governi sono: Algeria e Azerbaijan (tubi esistenti, Transmed e Tap), Congo Brazzaville, Angola, Mozambico e Qatar (gas liquido). C’è un’attività riservata per attivare un gasdotto (formalmente approvato dall’Italia anni fa) che parte dagli enormi giacimenti metaniferi al largo di Israele e dell’Egitto, passa per Cipro e Grecia e poi approda a Otranto (EastMed). Pochi giorni fa Italia e Spagna hanno siglato un accordo per collegare via tubo l’Italia stessa con i 6 rigassificatori spagnoli, progetto che aumenterebbe la capacità di Roma (3 impianti + 2 previsti) di ricevere gas liquido dal mondo, in prospettiva, in particolare dall’America e forse da Messico, ecc. 

 Al riguardo dell’Algeria va considerata l’influenza russa non solo via partecipazione di Gazprom all’ente nazionale energetico Sonatrach, ma come fornitore di armamenti e quella della Cina che ha appena firmato un accordo da 7 miliardi di dollari per la produzione di fertilizzanti. Da un lato, è difficile che Algeri faccia scherzi, anche perché molto intrecciata con l’Ue e l’Italia in particolare. Dall’altro è area esposta all’instabilità, in conflitto con il Marocco per il dominio del Sahara meridionale (ex colonia spagnola), esposta allo jihadismo, ecc. L’Algeria è una zona chiave anche perché c’è un progetto che la connetta via gasdotto alle risorse della Nigeria, aumentando il potenziale di export algerino verso l’Ue. Ma proprio questa prospettiva potrebbe indurre Russia e Cina, nonché lo Jihadismo prezzolato, ad interferenze, considerando che le truppe mercenarie russe (Wagner) controllano il Mali con capacità di proiezione nei dintorni. Nel Congo Brazzaville c’è una dittatura pluridecennale e una situazione nei dintorni ancora più instabile. Il regime autoritario in Angola, ex colonia portoghese, è più stabile, ma anche più influenzabile da forze ostili se diventasse chiave, considerando che la sua indipendenza e conflitto con il Sudafrica, decenni fa, furono sostenuti dalla Russia e da truppe cubane e che la Cina sta penetrando. In Mozambico c’è una guerra civile antica (tra Frelimo e Renamo) rinnovata da milizie assoldate da attori interessati allo sfruttamento degli enormi giacimenti di gas. Qui Roma, anche il Vaticano, è intervenuta nel passato come paciere, ha preso posizione e reputazione nel territorio, ma non si può dire che l’area sia stabile. Il Qatar ha una posizione attiva in Libia, in certa convergenza con la Turchia, a sostegno dei Fratelli musulmani (Tobruk) contrapposti, nella guerra civile intrasunnita, ad Arabia, Emirati ed Egitto (Bengasi). Questa situazione interferisce con la stabilizzazione della Libia e del rifornimento oltremare più diretto e meno costoso per l’Italia. L’Azerbaijan esporta gas dai giacimenti nel Caspio che è un mare/lago presidiato da una flotta russa in un contesto di guerra latente tra Azerbaijan stesso, sostenuto dalla Turchia, e Armenia, difesa (pur non tanto) da Mosca.

Il punto: ha l’Italia capacità nazionali per gestire i problemi di sicurezza, dall’antisabotaggio alla stabilizzazione sistemica, in queste aree? Pur con capacità militari e di presidio di punto (Carabinieri, Folgore, Col Moschin, Lagunari, ecc.) superiori a quanto si creda, no. L’ombrello Nato è importante nel Mediterraneo, ma difficilmente potrebbe essere esteso alle aree di interesse italiano. L’Ue? Il suo consenso alle operazioni italiane è fondamentale, l’iniziale convergenza tra Ue e Africa tutta è una piattaforma diplomatica essenziale, è sperabile anche una convergenza militare franco-italiana per alcune aree, Niger in particolare e Libia. Ma difficilmente sarebbe estendibile a tutta la zona che Roma deve coprire. Pertanto l’Italia mostra un gap di sicurezza che deve colmare. Come? Certamente ha bisogno di un ombrello statunitense bilaterale, militare e diplomatico, integrato da un accordo con il Regno Unito (al riguardo dell’Angola c’è un precursore indiretto tra aziende energetiche). Chi scrive si chiede se Mario Draghi abbia messo questo dossier nelle discussioni che avrà a Washington a metà maggio. Se sì, chi scrive immagina il seguente accordo specifico compatibile con l’Ue, pur con qualche forzatura.

L’accordo potrebbe essere denominato “Missione speciale combinata di sicurezza”. Al riguardo del Mediterraneo sembra più semplice perché già area difesa dalla Nato, ma servono due iniziative speciali per sbloccare la Libia e il gasdotto Eastmed, ambedue finalizzate ad ottenere una convergenza con la Turchia, con bastone e carota. Altrettanto importante è la formazione di una squadra navale italo-anglo-americana con capacità aeree (F35 e droni) e di intervento a terra a presidio dell’Africa atlantica e Mozambico (fino a Gibuti sarebbe meglio) eventualmente integrabile con operazioni Aukus nell’Indopacifico. Faccetta nera? No, giusta alleanza operativa: senza deterrenza e possibilità di intervento militare ai regimi utili sarebbero a rischio le forniture e, soprattutto, la tutela di prezzi sostenibili.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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