L’Ue sta valutando la volontà di azzerare la dipendenza dal gas russo. Ma sarà possibile farlo in tempi utili per evitare scarsità ed inflazione? Cosa implica il passaggio ad altre geodipendenze? Senza più il cliente europeo, Mosca reagirebbe con mosse ancora più estreme o cercherebbe un accordo? Tale questione è centrale per la difesa della fiducia economica e finanziaria nel mercato delle democrazie
Certamente è possibile via rifornimenti alternativi d’emergenza nel breve termine, gestiti da un sistema integrato Ue/G7 di procurement e distribuzione, poi nel medio termine allargando l’influenza diretta dell’Ue sull’Africa e sul Mediterraneo. Nel recente vertice Africa/Ue è stata evidente la pressione europea per agganciare nazioni chiave africane via incentivi di partenariato, anche intesi come riduzione dei sospetti di approcci neocoloniali. Ma le azioni fondamentali per consolidare un complesso energetico delle democrazie sono due: a) un trattato formale entro un G7 allargato ad Australia, Messico ed altre nazioni compatibili con indicazione di una governance comune; b) un accordo di cooperazione tra Opec e G7 + che garantisca al primo introiti pluridecennali stabili in cambio di prezzi calmierati e di esclusione della Russia dall’associazione al cartello. In sintesi, si tratterebbe di includere un sufficiente numero di nazioni produttrici entro l’area del complesso democratico, via incentivi (e qualche atto dissuasivo), per esempio esito possibile nei confronti di Arabia ed Emirati alla condizione di una loro tutela più forte nei confronti dell’Iran. I numeri sarebbero abbondanti, i costi sostenibili per gli europei e la geodipendenza sarebbe annullata dall’architettura politica indicata. Inoltre vi sarebbe una piattaforma di convergenza per gestire il delicato passaggio verso il nucleare e la riduzione dell’uso di combustibili fossili in Europa e, più lentamente, in America e altre nazioni G7.
Al momento il complesso democratico è riluttante a spingersi così decisamente verso il taglio delle forniture russe per tre motivi: alcuni alleati, tra cui l’Italia, temono che sia troppo lungo il tempo di sostituzione e altri temono che l’isolamento della Russia con il solo sbocco della Cina la renda propensa a reazioni disperate e globalmente destabilizzanti o metta Mosca nelle mani di Pechino. Sono motivi seri, ma la Russia a conduzione Putin non è più un interlocutore credibile e quindi diventa razionale costruire un complesso democratico globale non sfidabile per difendere la fiducia economica: la Russia maldestra ha acceso un nuovo modo di pensare ed agire.