In settimana, finalmente, il ministro dello Sviluppo potrà valutare con le associazioni industriali l’emergenza dovuta ad un balzo del costo di un “megwatt ora” da 50-60 euro a 200 nell’autunno-inverno 2021 e che rischia di essere duraturo, erodendo non solo i margini aziendali, ma mettendo a rischio la continuità delle aziende, certamente riducendo la competitività del loro export, e quindi l’occupazione. Soluzioni. Nel medio periodo (24 mesi) ce ne sono: aumento dell’energia rinnovabile e della produzione di gas nazionale, compromesso con la Russia per le forniture di gas, acquisti integrati da parte dell’Ue per avere più forza negoziale sui prezzi (come per i vaccini). Ma l’emergenza è adesso e servono soluzioni immediate. L’America invierà più gas liquido all’Europa se la Russia dovesse continuare il ricatto energetico. Ma l’unica soluzione calmierante “ponte” veramente efficace fino a quando saranno attive quelle di medio termine è un intervento dello Stato attraverso risorse ricavate sia da uno scostamento di bilancio sia da una riallocazione dei capitoli di spesa. Il governo è in difficoltà perché pensa ad uno scostamento molto inferiore al fabbisogno d’emergenza e ha problemi nello spostare risorse da capitoli frutto di un compromesso tra i partiti a favore del salvataggio del sistema industriale. Ma dovrà farlo. O le imprese, tra cui le agricole, dovranno trasferire l’extracosto dell’energia e di alcune materie prime ai clienti. Ma così rischiano di perderli e di alzare l’inflazione generale. Mai come ora è stata evidente la necessità di mettere l’industria e il lavoro al centro della politica.