L’analisi delle tendenze globali correnti rende molto probabile che i tempi di sostituzione dei carburanti fossili con fonti di energia alternativa e quelli di demetanizzazione saranno molto più lunghi del calendario di neutralità carbonica e riduzione dei gas serra stabilito dall’Ue. Questa persiste nel mantenerlo attorno al 2055 mentre Cina e India lo spostano al 2070 e oltre. Gli Stati Uniti si sono dati obiettivi nominali simili a quelli dell’Ue, ma un’analisi dell’industria fossile americana mostra chiaramente che il suo abbandono sarà molto contrastato con effetti politici interni. L’analisi del modello economico dei Paesi produttori di energia fossile, inoltre, mostra chiaramente che questi non possono eliminare tale fonte di reddito senza incorrere in gravi crisi: Russia, Messico, Brasile, tutti gli africani, molti centroasiatici e le nazioni del Golfo. E la maggior parte delle nazioni in via di sviluppo non-produttrici non ha mezzi sufficienti per la transizione verso energie alternative, parecchie con troppa instabilità interna per il nucleare. In sintesi, c’è un conflitto tra decarbonizzazione e sviluppo nella maggior parte del pianeta che fa prevedere domanda e offerta elevate di combustibili fossili almeno fino al 2100, pur considerando l’inserimento nel mix di energie alternative del nuovo (mini)nucleare a fissione, in diffusione dal 2035 circa, e di quello a fusione, in applicazione (sperimentale) probabilmente dal 2040, nelle nazioni più evolute. Tale bozza di scenario è ovviamente aperta a correzioni, ma ha una iniziale consistenza che pone ecoproblemi molto gravi – inflazione da “giochi di scarsità” e catastrofi ambientali molto prima di fine secolo - e la ricerca di soluzioni tecnologiche e politiche finora non considerate. Ma anche pone un problema preciso di breve termine alle nazioni europee.
L’Ue sta valutando l’imposizione di ecodazi alle importazioni provenienti da territori non ecoconformi secondo gli standard europei. L’ipotetica misura è stata concepita per evitare che aziende europee delocalizzino in giurisdizioni meno ecostose e da lì esportino nell’Ue in concorrenza sleale con chi è rimasto a pagare gli ecocosti. Ma se tale misura fosse generalizzata – per esempio la Francia ha premuto per inserire un ecodazio generale nel Trattato del Quirinale, ma l’Italia ha voluto diluire il linguaggio – le nazioni esportatrici europee sarebbero esposte a ritorsioni da parte del resto del mondo, con grave danno. Quindi bisogna alzare l’attenzione sull’idea di ecodazi Ue che finora non è stata oggetto di analisi critiche pubbliche.