Cosa può prevedere il mercato in base ai risultati del summit bilaterale sino-americano di lunedì scorso? L’accordo specifico sembra molto limitato: le due potenze hanno iniziato a definire con più precisione i settori dove sono in potenziale conflitto, in competizione e dove vi potrà essere una collaborazione convergente. Ma è rilevante il meta-accordo, cioè il non detto che sostiene ciò che viene detto: sul lato del conflitto le due parti non rinunceranno ad una postura armata, né la Cina a Taiwan né l’America all’azione di accerchiamento di Pechino per contenerne l’espansione e condizionarla, ma sarà più intensa la consultazione bilaterale utile ad evitare incidenti. Inoltre, ambedue le potenze hanno un interesse in comune: limitare le tensioni esterne in un periodo in cui ambedue devono dare priorità ai problemi interni. In generale, articolata nella strategia delle tre C (conflitto, competizione e collaborazione) l’America persegue nei confronti della Cina una Grand Strategy che non cambierà con l’alternarsi di diverse amministrazioni: definire dei confini di influenza globale dove la sfera a guida americana sia più grande di quella cinese. Per questo disegno l’America ha bisogno di un nemico credibile, ma con rischio bellico minimo, per compattare le altre democrazie che altrimenti si sfilerebbero, motivo del prossimo summit delle democrazie stesse. La Cina cercherà di reagire alla nemicizzazione (si è dichiarata “democrazia incompresa”) e destino minoritario, ma al momento non ha una nuova strategia e punta a limitare i danni in attesa di elaborarla.
Lato economico. Non sono in vista rilassamenti sostanziali di sanzioni e dazi, ma nemmeno inasprimenti. Le cinque grandi banche statunitensi che hanno avuto il permesso di stabilire in Cina società in maggioranza hanno l’interesse ad evitarne una crisi finanziaria da “sbolla” e la loro opinione pesa a Washington. Sul piano della cooperazione bilaterale gli strateghi statunitensi hanno annotato una per loro pericolosa convergenza tra Cina e India nel prolungamento del ciclo dei combustibili fossili e il successo di Pechino nell’ergersi a difensore dei produttori dell’energia sporca. Pertanto non è escluso che Washington, produttore primario di fossile, e Pechino possano collaborare per una tecnologia di decarbonizzazione diretta che tolga la CO2 dall’atmosfera, che diversamente dalla decarbonizzazione indiretta, per esempio il nuovo nucleare, non è un fattore di potenza e quindi condivisibile, permettendo così al ciclo dei combustibili fossili di poter durare a lungo con minori eco-impatti.