A Glasgow è emersa una prima bozza di ecostrategia finalmente realistica: decarbonizzazione diretta e demetanizzazione per ridurre i principali gas serra, e quindi il riscaldamento globale, combinata con nuove fonti di energia alternativa che colmino il gap di prestazione di eolico, solare e idro. In tale visione l’ecosalvazione è affidata al capitalismo tecnologico, cioè alla creazione rapida e messa in opera di nuove tecnologie finanziate anche dal capitale privato facilitato da mitigazioni del rischio e non più a ecopolitiche limitative o illusorie-ecoliriche. I portatori di queste ultime, infatti, stanno reagendo con veemenza: no alla decarbonizzazione diretta perché potrebbe allungare le produzioni di energia fossile, no al nuovo nucleare, ecc. E’ un segno che il pensiero realistico sta soppiantando quello eco-idealistico finora prevalente. Ora, però, bisogna capire quali progetti tecnologici debbano essere finanziati direttamente dal denaro degli Stati, e in quale consorzio geopolitico, e quali dai privati.
I privati si ingaggiano dove c’è una speranza di remunerazione e pertanto la scelta delle tecnologie è chiave per cumulare la massa di capitale necessaria. Per esempio, una tecnologia di decarbonizzazione diretta che via immagazzinamento sotterraneo della CO2 produce una roccia calcarea è di poco probabile interesse per investitori privati, ma una che abbia come prodotto rapido via catalisi fiocchi di carbonio solido puro, materiale dalle molte qualità, probabilmente sì. La seconda tecnologia deve ancora trovare catalizzatori non rari e non tossici per molteplici mega-impianti futuri. Ma un investimento massivo può superare il problema, ottenere ritorni in tempi finanziariamente ragionevoli, magari usando la prima tecnologia come serbatoio per la seconda, caricandola di potenziale remunerativo. Questo è più certo al riguardo della fusione nucleare, priva di scorie. Ma il consorzio di governi facilitanti dovrebbe essere selettivo vista la natura strategica della tecnologia. Pertanto, la prima sensazione è che le promesse della nuova ecostrategia richiedano un programma comune dei G7, allargati a nazioni compatibili. Così come la nuova genetica per l’agricoltura e, soprattutto, il sistema di osservazione spaziale che dovrà monitorare gli andamenti climatici. In sintesi, le nuove ecotecnologie sono risolutive, ma anche un fattore di potenza non condivisibile. Poiché il capitale risiede in misura maggiore nelle democrazie, queste, per mobilitarlo, dovrebbero compattarsi per consolidare l’architettura politica di garanzia degli investimenti ecotech.