In settimana è caldo il tema della riforma fiscale. Sia Confindustria sia i sindacati si sono espressi contro l’impostazione data dal governo e dai partiti della maggioranza che taglia l’Irpef per circa 7 miliardi, ma toglie molte deduzioni, e l’Irap di aziende individuali per 1 miliardo. Parecchi analisti calcolano che ciò non produrrà effetti stimolativi: lo Stato sta buttando via 8 miliardi. I sindacati, oltre ad interventi sulle pensioni, propongono di ridurre il “cuneo fiscale” per i lavoratori dipendenti allo scopo di aumentare il loro reddito netto. Tale misura sarebbe importante per evitare aumenti salariali in un periodo con rischi di inflazione e per dare ai lavoratori, in Italia i meno pagati d’Europa, più cassa. Altrettanto importanti sono i rilievi di Confindustria che lamenta un calo degli incentivi per la digitalizzazione delle imprese e la continuazione di pesi fiscali eccessivi sulle stesse nonché un problema sistemico: mancanza di visione nei partiti e nel governo. Chi scrive concorda. Lo scenario mostra che nel prossimo futuro l’economia sarà sottoposta a trasformazioni significative, per esempio quella di adesione ai nuovi standard ambientali. In numeri, ciò significa dover aumentare di circa il 2% medio il potenziale di crescita del Pil per bilanciare sia il debito sia l’aumento della spesa pubblica per evitare problemi sociali e tecnici nella trasformazione. Come? Potenziare l’industria mettendola al centro della politica fiscale sia per trasformare in investimenti minori tasse sia per offrire salari adeguati ai lavoratori nonché formazione continua in azienda. Va annotato che la politica non l’ha ancora capito sperando che colga il punto.