Finora l’ecopolitica si è basata sulla decarbonizzazione indiretta: sostituire il ciclo dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) con fonti di energia rinnovabili (solare, eolico e idro). I dati mostrano che tale sostituzione, per altro compromessa da dubbi sulla stabilità d’esercizio delle rinnovabili, sarà molto lenta e portatrice di distorsioni, tra cui il rischio di inflazione per la persistenza della dipendenza dall’energia fossile a costi molto elevati. Tuttavia, i governi europei e la Commissione insistono sulle rinnovabili, confermano date ravvicinate per la neutralità carbonica e aggiungono che i costi di transizione verranno coperti da soldi pubblici, in particolare il ricavato da tasse crescenti sull’emissione della CO2 a carico delle imprese. Chi scrive ritiene questa impostazione un grave errore sia economico sia ambientale: se è vero che l’effetto serra prodotto dalla CO2 potrà riscaldare il pianeta fino a renderlo invivibile alla fine del secolo, con effetti meteo e territoriali localizzati già evidenti (bombe d’acqua, desertificazione, migrazioni, ecc.), la strategia di decarbonizzazione indiretta europea, e la pretesa di renderla standard mondiale, è del tutto inadeguata. Inoltre crea sfiducia economica perché enfatizza un pericolo senza rendere credibile la sua prevenzione.
Pertanto va studiata una diversa strategia, fatta di tre passi: (a) accelerare, finanziandola, la decarbonizzazione diretta, da intendersi come riduzione massiva della CO2 togliendola direttamente dall’atmosfera sviluppando nei prossimi 6-8 anni la tecnologia adeguata; (b) aggiungere al mix di fonti energetiche pulite il nuovo nucleare a fissione a sicurezza intrinseca, prodotto da minicentrali della grandezza di un container e, soprattutto, il nucleare a fusione, circa 5 anni per l’applicazione del primo, dai 15 ai 20 per l’attivazione del secondo; (b) calmierare il prezzo del fossile attraverso azioni geopolitiche che spacchino il cartello dei produttori generando un controcartello calmierante, considerando che l’Europa è totalmente ricattabile dalla Russia per le forniture di gas. In sintesi, il gioco è il seguente: la dipendenza dal ciclo fossile, appunto, durerà più a lungo del previsto, ma attivando la decarbonizzazione diretta questo sarà meno ecodannoso, in attesa di poter impiantare a scala centrali a fusione nucleare prive di scorie radioattive che compromettono il consenso, nelle democrazie, per il nucleare a fissione. Questa, in bozza, dovrebbe essere la nuova strategia.
Il punto più delicato di questa non è il nucleare a fusione perché la ricerca è molto avanzata. Per inciso, l’Eni ha voluto intelligentemente diventare il maggior investitore di un’opzione tecnologica in sperimentazione presso il Mit di Boston. Non lo è nemmeno la costruzione di minicentrali a fissione nucleare, per inciso anche qui con una folta presenza di investitori privati e scienziati italiani, ma tale tecnologia troverà applicazione facilitata, probabilmente, solo in nazioni già nucleari e predisposte a gestirne tutto il ciclo, sia tecnicamente sia politicamente, per esempio Regno Unito e Francia in ambiente europeo. Il punto più critico nel presente è valutare le tecnologie di decarbonizzazione diretta in sperimentazione già robusta, capire quale tra le diverse opzioni tecnologiche è la più promettente, e decidere di superfinanziarne l’industrializzazione rapida: probabilmente serviranno decine di miliardi ed un accordo tra governi. Perché non stato fatto finora, per lo meno dal 2019 dove un’opzione tecnologica si è dimostrata robusta, tralasciando qui l’immissione di CO2 sottoterra le cui sperimentazioni hanno mostrato risultati interessanti dal 2010? In parte perché la decarbonizzazione diretta è una scoperta recente, ma in maggior parte perché ci sono interessi “vestiti” per puntare tutto sulle rinnovabili dette che temono l’arrivo di una tecnologia più efficace che le metterebbe in posizione di fonte energetica secondaria e non primaria. Forse è scandalo, presa in giro della popolazione, o ignoranza della politica o menefreghismo: tanto il casino verrà fuori tra decenni. Ma il problema è scoppiato oggi sulle ali dell’inflazione energetica.
Diamo però attenzione alla tecnologia. Un gruppo di ricerca dell’università australiana RMIT, Melbourne, ha sperimentato un processo di estrazione diretta della CO2 dall’atmosfera via catalisi, cioè la trasformazione di questo gas in carbonio solido. Questo è un materiale eccezionale, per esempio capace di essere usato per batterie superleggere e superpotenti. La scelta eventuale di questa tecnologia – ce ne sono altre – è determinata dalla possibilità di usarla a grande scala per depurare l’atmosfera togliendo migliaia di miliardi tonnellate di CO2 e ottenendo carbonio solido (in fiocchi) di grande valore ed econeutralizzato. Il processo è promettente perché può avvenire senza alte temperature, semplificandolo. Il problema è che al momento i ricercatori usano per la catalisi un metallo raro, il gallio, ed uno che in certe condizioni è tossico, il celio. Quindi, se scelta tale tecnica, i miliardi di investimento servirebbero a trovare sostituti catalitici, a ingegnerizzare megamacchine ed individuare un riciclo sicuro e profittevole del carbonio così solidificato. E’ una missione per la nuova “ingegneria climatica”. E se si stanziano i soldi, come fu fatto per il progetto Manhattan o Apollo, fattibile nei brevi tempi detti. La nuova strategia è realistica, ma va portata nel dibattito pubblico contro chi vuole silenziarla.