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Carlo Pelanda: 2021-9-12La Verità

2021-9-12

12/9/2021

Ci sono le prove che la democrazia attecchisce e convince a morire per essa

Dall’Afghanistan filtrano dati che mostrano una reazione massiva e spontanea della popolazione civile di contrasto attivo e a viso aperto dell’ordine talebano. Il fenomeno lo si può dividere in due: nelle aree metropolitane la popolazione tende alla mobilitazione indipendentemente dall’appartenenza etnica-tribale, permettendo l’ipotesi che una parte della popolazione in rivolta, perché secolarizzata, ha assaggiato libertà e diritti e non vuole rinunciarvi, anche a costo di rischiare la vita. Il secondo livello del fenomeno è a livello rurale e tocca tribù ostili a quella Pashtun, dominante il movimento dei talebani, per esempio quelle sciita, tagika, ecc. I comportamenti visibili dell’ordine talebano fanno intendere un tentativo di comprare la loro non ostilità per evitare che si formino sacche territoriali di resistenza. Ma la popolazione urbana in rivolta è disorganizzata e quindi non ci sono leader che possano trattare con i talebani la sopravvivenza via scambio. Per questa popolazione è iniziato lo sterminio o la repressione violenta (ricatto alle famiglie). La modalità è silenziosa per non dover costringere il mondo delle democrazie, l’America in particolare, a dover usare droni per uccidere i leader talebani allo scopo di evitare l’accusa di abbandono dei combattenti della libertà dai propri elettorati. Infatti i talebani ci vanno piano, ma per loro “piano”, significa uccidere silenziosamente, per esempio la sospensione di internet in alcune zone di Kabul dove è stato recentemente attuato un affondo genocida. In sintesi, la popolazione a rischio di repressione violenta perché secolarizzata e con cui è difficile fare compromessi è stimabile tra i 2 e 3,5 milioni. C’è una convergenza di fatto tra governi delle democrazie e talebani: i primi sembrano agire come se dicessero, semplificando, ai secondi di non fare rumore, lasciando che il caso esca dalle prime pagine e in cambio qualche aiuto sarà dato sottobanco. Dietro questo accordo tacito c’è l’impegno dei talebani a non esportare terrorismo jihadista e a non offrigli basi. Forse, per comunicare tale “qualità” dei talebani, l’attentato dell’Isis all’aeroporto di Kabul è stato generato strumentalmente per mostrare che i veri cattivi non sono i talebani stessi. Estremo, ma non escludibile. Lo scenario geopolitico è ancora aperto, ma un dato è evidente: chi assaggia la libertà e un precursore di Stato di diritto poi li vuole al punto da combattere e morire. Per me questo è un successo della democrazia che corrobora la dottrina della sua esportabilità.

E non riguarda solo il caso afghano. A Honk Kong sono morti in tanti nella repressione cinese contro il movimento delle libertà, tra l’altro in violazione netta del trattato che lasciava alla città un regime autonomo. In Birmania (Myanmar) c’è una rivolta costante, anche se ora latente come un fiume carsico, di milioni di persone che rifiutano la dittatura militare. E ci sono parecchi altri casi nel mondo, simili. Ma quello che colpisce chi scrive sono i primi segnali di ribellione contro la svolta neo-maoista in Cina. Xi Jinping la ha attuata, avendo preso poteri dittatoriali dal 2017, proprio per ridurre il disordine (secondo il Partito comunista) dovuto all’eccesso di libertà. Ma la sorpresa è che tanti cinesi, internazionalizzati e conquistati dalla libertà visibile nelle democrazie, stanno tentando di opporsi. Purtroppo questi e altri movimenti saranno repressi nel sangue o da tecniche raffinate di rieducazione perché i governi delle democrazie non hanno l’interesse a ingaggiarsi in azioni conflittuali di tutela Questo non vuol dire che non ci sia un po’ di pressione democratizzante e di tutele da parte loro, ma è molto limitata. Non me la sento di accusare i governi perché capisco le necessità della “realpolitik “. Ma proprio questo mi porta a riflettere su cosa possiamo fare noi, individui pro-democrazia, per aumentare la pressione democratizzante, rendendola un fattore di consenso elettorale e quindi costringendo gli eletti a fare di più in materia, pena la sopravvivenza delle loro carriere.   

Il mio approccio nel formulare dottrine e strategie è quello di unire valori morali e utilità e ho visto che è possibile. Forse inevitabile perché nelle democrazie l’azione di rappresentanza tematica senza una teoria morale è perdente: le democrazie, oltre che del capitalismo di massa, hanno bisogno di sentirsi “comunità di progetto” pur nella varietà di opinioni. E’ il progetto di “democratizzazione globale” sufficientemente credibile per combinare valori e realismo? Lo è. Quando la assaggi, piace: ci sono le prove. Ma è utile per le democrazie ingaggiarsi per aumentare la pressione sui regimi autoritari? Certamente, se calibrata con realismo, per due motivi: (a) le democrazie sono fragili e hanno bisogno non solo di compattarsi per sostenersi reciprocamente, ma anche di espandere “lo standard democratico” nel mondo per farlo vincere contro i tentativi di imporre quello autoritario che sembra più efficiente, ma è meno efficace sul piano della ricchezza diffusa; (b) o il mondo viene guidato da democrazie o lo comanderanno le non-democrazie, portando distorsioni tecniche e situazioni negative che percoleranno fino nelle vostre case, con danno ai vostri figli. Quindi la “comunità di progetto” ha come obiettivo quello di rendere tutte le 200, e più, nazioni democratiche e o tendenti alla democrazia, obiettivo possibile in due secoli, a occhio. La logica c’è tutta, manca l’emozione che io non sono capace di trasmettere quanto la senta. Suggerimenti?

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