L’alleanza delle democrazie non può permettersi una sconfitta strategica in Afghanistan perché avrebbe effetti negativi globali: nessun attore democratizzante in nazioni autoritarie e/o emergenti potrebbe più avere fiducia nel sostegno da parte del complesso democratico mondiale e ciò darebbe un enorme vantaggio ai regimi autoritari. Negli ultimi giorni, infatti, è osservabile nelle democrazie stesse l’avvio di una mobilitazione di politici, think tank e fonti di opinione pubblica contro l’atteggiamento rinunciatario dei governi Nato che danno per scontata la vittoria totale dei talebani. Inutile perché il consenso in America è ritirista? Calma: buona parte del Partito repubblicano si è resa conto che il costo della sconfitta per gli Stati Uniti sarebbe maggiore del mantenimento di una qualche forma di impegno in Afghanistan che tuteli quella parte di popolazione che aveva creduto in un futuro modernizzante del Paese. Chi scrive ha passato la nottata in collegamento con diversi ricercatori e tecnici statunitensi per capire le possibilità e ha ricavato le seguenti opzioni, tutte a bassa probabilità, ma non escludibili, per altro elaborazioni personali non attribuibili ai colleghi.
Dati di fatto. Il regime sostenuto dalla Nato si sta sciogliendo perché i sostenitori hanno deciso di andarsene e sia politici sia militari locali hanno preferito scambiare con i talebani passività, fuga (e mezzi) in cambio della salvezza. Ma una parte degli afghani pro-occidentali, oltre alle tribù anti-taliban, per esempio quelle di etnia tagika , resiste. Ciò rende possibile, in teoria, definire un perimetro di resistenza contro i talebani che diventerebbe santuario per tutti coloro, donne in particolare, che temono maggiormente l’oppressione da parte dei talebani. Questi, per altro lo sanno, e si sono affrettati a comunicare garanzie proprio per evitare che si formi una resistenza locale. La Nato potrebbe benissimo difendere questo perimetro attraverso la superiorità aerea. Rischio di una trappola del tipo Dien Bien Phu (1954), cioè di trincerarsi in un ridotto circondato? C’è. Ma a nord l’Afghanistan confina con Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, sotto influenza russa, ma anche con certa autonomia. Quindi se gli altri confinanti sono ostili (Pakistan, Cina e Iran) ci sarebbe la possibilità di trattare con Mosca un supporto logistico viciniore per rifornire e difendere il perimetro Nato, circa un quinto dell’Afghanistan, con dentro Kabul. Per altro Mosca ha annunciato che manterrà l’ambasciata a Kabul e ha condannato l’offensiva talebana. Una convergenza selettiva e tematica Nato-Russia troverebbe ostile l’America. Ma per Mosca questa è una chance di perseguire l’obiettivo di normalizzare le relazioni con l’America stessa ed evitare che la Cina si intrufoli nel vuoto di potere, obiettivo anche degli Stati Uniti. Al momento tale scenario è poco probabile, ma non lo si può escludere.
Tuttavia lo scenario prende un po’ più di probabilità se si valutano le vulnerabilità dei talebani. Questi sono ben organizzati, ma sono una esigua minoranza in relazione al complesso della popolazione afghana, per lo più divisa in tribù. Ora hanno il sostegno di diverse tribù perché caricati di una profezia di vittoria grazie all’enorme errore di Biden sia di confermare il ritiro in una data certa sia di scaricare la colpa della sconfitta sugli afghani lealisti accusati di non voler combattere. Per inciso, è da anni che i militari statunitensi avvertono la politica che senza presenza Nato il regime locale si sarebbe sciolto perché non ancora strutturato. Tuttavia, se si formasse un ridotto con presenza Nato, e suo attivismo aereo, le tribù che sostengono i talebani potrebbero cambiare posizione e combattere contro i talebani stessi, per un prezzo o per evitare un costo, cioè la distruzione dei campi di papavero o la morte di un capo via un drone. Secondo chi scrive, la formazione di un ridotto con un pur limitato presidio Nato corroborato da un’imponente capacità aerea potrebbe limitare la sconfitta tattica della Nato impedendo quella strategica e forse perfino invertirla perché i talebani o vincono subito o, se conquistano solo in parte, poi perderebbero i sostegni delle tribù, anche perché non potrebbero pagare quanto promesso. Infatti i talebani corrono disperatamente per prendere tutto prima che inizi l’inverno e relative problematiche logistiche. La vulnerabilità dei talebani è evidente.
Infatti qualcuno la vede, ma ritiene possibile fare un accordo con i talebani, immaginando una cogestione del potere. Quasi impossibile, ma l’opzione non va esclusa se i talebani accettassero condizioni, cambiamento di comportamenti e controlli. Ma per tale opzione ci vorrebbe l’ingaggio dell’Islam wahabita guidato dall’Arabia Saudita, che avrebbe interesse a scambiare tale aiuto con l’Amministrazione Biden (ostile) e ad indirizzare i talebani contro l’Iran sciita.
Chiaramente queste opzioni possono prendere realismo se il Partito repubblicano usasse il caso afghano come martello contro i democratici in vista delle elezioni di medio termine in America, nel novembre 2022. Infatti i democratici hanno paura e Biden ha inviato migliaia di soldati, ufficialmente, per rendere ordinato il ritiro. Ma potrebbero restare lì a presidio del ridotto. L’Italia? Il governo non può far altro che seguire gli americani nel frangente, ma una mobilitazione della gente pro democrazia avrebbe peso in tutta l’area Nato, smuovendo anche l’America.