Gli Stati devono aumentare il debito per far fronte agli interventi d’emergenza e le Banche centrali glielo comprano in proporzioni significative per tenere minimo il costo del denaro e del debito stesso. Ciò succede in quantità massive nell’Eurozona e negli Stati Uniti, nonché nel Regno Unito. Per situazioni di vera emergenza tale politica sia fiscale sia monetaria è molto sensata. Tuttavia, è quasi un decennio che le Banche centrali attuano questo sostegno agli Stati, trasformandolo da azione straordinaria in prassi ordinaria. L’esito è il rigonfiamento dei debiti statali e, nascostamente, una riduzione della pressione su governi e parlamenti per dare efficienza ai rispettivi sistemi nazionali: si è instaurata l’idea che il gap di efficienza sistemica possa essere colmato dalla politica monetaria espansiva, cioè dal debito statale facilitato. Questa tendenza ora sta esplodendo, spinta da governi – per lo più di sinistra o molto influenzati da questa - desiderosi di finanziare con soldi statali grandi discontinuità con un corredo di spesa crescente per l’assistenzialismo invece che per la stimolazione del libero mercato. Ciò sta creando un rischio, oltre a quello di dissipazione del denaro pubblico, di debiti che non potranno mai essere ripagati, di inflazione in prospettiva e, probabilmente, di aumento delle tasse quando l’instabilità monetaria e dei bilanci statali dovrà essere corretta con manovre restrittive. La possibilità di prevenire tali rischi è compromessa sia dalla politica che persegue il consenso aumentando il debito sia da quella parte del mercato finanziario che vuole Borse sempre crescenti grazie alla pompa di liquidità manovrata dalle Banche centrali: bolla. La fonte principale di questo rischio è la perdita di indipendenza delle Banche centrali. Chi scrive ritiene, in generale, che all’indipendenza delle Banche centrali corrisponda un basso rischio di inflazione che è la peggiore tassa, in particolare per i meno abbienti e per i pensionati, mentre la perdita di tale indipendenza è fattore quasi certo di debito-inflazione insostenibili. Pertanto il tema è fonte di preoccupazione in prospettiva anche se nel presente il rischio di inflazione stessa viene definito basso – il picco corrente di aumento dei prezzi di alcuni beni viene considerato temporaneo - dalle Banche centrali. Valutiamo.
A fronte della preoccupazione appena espressa c’è la valutazione di quanto le democrazie siano in emergenza ed esattamente quale/i, in caso. Sul piano dell’economia tecnica l’America è in boom e, al netto di risorse precauzionali contro residui rischi pandemici, non ci sarebbe motivo per aggiungere altri 6.000 miliardi di dollari a debito nel bilancio – e per la Fed a continuare a comprarlo – come l’Amministrazione Biden intende fare. Ma la priorità di prendere la superiorità strategica sulla Cina anche riqualificando tutto il sistema interno è percepita come un’emergenza sia dai repubblicani sia dai democratici. I democratici enfatizzano l’assistenzialismo, i repubblicani la futurizzazione, i primi lo fanno anche per avere competitività elettorale nelle elezioni chiave di Mid Term nel novembre 2022, i secondi non interferiscono troppo per non perdere consensi. I repubblicani cercano solo di limare l’indebitamento, ma in sostanza convergono sull’idea, pur silenziosamente, che si tratti di un “debito di guerra”, cioè l’uso strumentale della crisi pandemica per riprendere leadership nel mondo. La Fed sta tentando di ridurre (tapering) l’acquisto del debito statale, ma lo sta facendo con una prudenza preoccupata degli eventuali effetti sul mercato e spinta dalle pressioni politiche, tale da segnalare di fatto, pur nolente e consapevole del rischio inflazionistico e sul dollaro, che la sua indipendenza non è piena. La Bce sta facendo lo stesso in base a due emergenze: la coesione dell’Ue che ha richiesto il sostegno all’indebitamento degli Stati e, anche se non dichiarata, la priorità di distinguersi come “potenza etica” per compensare la mancanza di quella militare (e sulle nuove tecnologie), nonché per darsi uno strumento condizionante nei confronti della Cina e dell’America, spingendo standard ambientali restrittivi e costosi. Non sfugga che la Bce considererà parte della politica monetaria anche quella finalizzata a ridurre gli effetti del cambiamento climatico. In sintesi, gli Stati con capacità di influenza percepiscono una situazione d’emergenza (geo)politica che li porta ad imporre un sostegno delle Banche centrali, riducendone di fatto l’indipendenza.
Valutazione. Le emergenze percepite dalla politica in America e nell’Ue sono reali e pertanto giustificano uno “stato d’eccezione”. Ma bisognerebbe trovare un modo per sterilizzare il debito statale acquistato dalle Banche centrali per mitigare almeno il rischio (grave) di crisi da rientro nell’ordine finanziario, cioè sul lato della deflazione. Su quello dell’inflazione la via migliore è liberalizzare di più il mercato affinché la riduca via efficienza. Tenendo in conto che nella futura competizione globale anche la solidità delle monete sarà un fattore e che l’indipendenza “classica” delle Banche centrali appare impossibile, come emularla? Evidentemente con una collaborazione tra politiche fiscali e monetarie meglio capace di rispettare i requisiti ordinativi delle seconde armonizzandoli con quelli politici del consenso. Prepararsi ora per questa sfida futura, ma vicina, specialmente per l’Italia in relazione all’Eurozona