L’erogazione dei denari europei è condizionata all’attuazione di riforme - 53 per l’Italia di cui 10 entro il 2021 - e alla dimostrazione che i soldi vengono spesi in modi euroconformi. Qualora ci fosse un’inadempienza, l’erogazione verrebbe sospesa da parte dell’Ue. Per questo il governo sta sia rendendo frequenti gli appelli alla politica di rendersi conto di quanta consistenza tale programma richieda sia costruendo una struttura di controllo centralizzata, presso il ministero dell’Economia, nonché potenziando la capacità dei singoli ministeri settoriali di spendere bene e rapidamente i soldi nel rispetto delle tappe del cronoprogramma: 191 miliardi, più altri 20 o più nazionali, entro il 2026. Molti sono i dubbi. Ma il governo, appunto, si sta organizzando per riuscirci. Ci sono poi perplessità al riguardo di una condizionalità che impone dall’esterno i contenuti dei programmi, cioè che toglie sovranità. In effetti il condizionamento è pesante. Ma chi scrive sta osservando che stanno aumentando gli investimenti stranieri in Italia perché è considerata una “zona sicura” dove metterci dei soldi, status che fino a poco fa l’Italia non aveva agli occhi del mercato internazionale. Ciò succede perché l’Italia a conduzione Draghi sta mostrando euroconformismo e una certa efficienza del governo. Tale dato fa ipotizzare che l’euroconformismo non va solo valutato in termini di flussi di denaro pubblico europeo a debito (che in gran parte dovrà ripagare), ma anche al vantaggio che offre sul piano dell’attrazione di investimenti privati esteri, questi molto più importanti. Ovviamente manca un profilo geopolitico maggiore dell’Italia nell’Ue. Ma è chiaro che la migliore strategia per conquistarlo sia l’euroconvergenza e non l’eurodivergenza, realisticamente.