L’analisi delle condizioni poste negli ecoscenari per ottenere la limitazione del riscaldamento climatico ne mostra un’elevata probabilità di non applicabilità. Cioè, i tempi prevedibili sul piano realistico per ridurre i gas serra potrebbero essere più lunghi di quelli necessari per ottenere una limitazione del riscaldamento del pianeta. Il tema riguarda l’eco-produttività degli investimenti. Per esempio, la sostituzione del ciclo del petrolio-gas, sul piano globale, difficilmente potrà avvenire entro il 2050 a livelli significativi. La dipendenza dal carbone della Cina potrà essere resa minima solo nel 2060-70. Un abbattimento accelerato delle emissioni di CO2 sarebbe possibile via aumento delle centrali ad energia nucleare. Ma non c’è consenso. Questo va a forme di energia alternativa che sono di sviluppo e diffusione più lenti e quindi destinati a coprire il fabbisogno in tempi lunghi. E’ pertanto razionale insistere solo sulla de-carbonizzazione che elimina il petrolio o aprire un ventaglio di nuove alternative? Serve un’alternativa più efficace e produttiva.
Quella principale è aumentare gli investimenti su sistemi che eliminano l’anidride carbonica presente in atmosfera per gestire il ritardo o la difficoltà di eliminarla alla fonte, per esempio la massa di respiro umano e di emissioni bovine. Esperimenti di imprigionamento del gas sottoterra (milioni di tonnellate) sono in atto in Islanda. Ma è molto promettente una tecnologia che crea fotosintesi via foglie artificiali in un processo che alla fine elimina il CO2. Ancor più promettente è l’idea di trasformare l’anidride carbonica in carbonio allo stato solido in materia prima per costruire manufatti e strutture. Tale soluzione sarebbe una miniera che prende il materiale dall’aria, poi lo lavora o con nanotecnologie o via stampanti 3D o chimica speciale che poi lo rende più solido di un metallo nonché super flessibile con memoria di forma, ecc. Il punto: combinare una rivoluzione dei materiali con la priorità della de-carbonizzazione per far diventare la CO2 una risorsa invece che un problema. Chi scrive segnala l’opportunità ai fondi di venture capital. Quelli italiani sono piccolini, ma la scienza italiana è evoluta: tentare delle start up in materia di estrazione di CO2 e/o di manipolazione del carbonio potrebbe portare a creare svariati “unicorni”. Ipotesi iniziali di mercato: usare prodotti carbonici potrebbe essere meno costoso dell’impiego dei metalli, con un profitto aggiuntivo nello smaltimento via riciclo. La materia prima, poi, resterà sempre abbondante perché nell’aria e non in terra.