La disponibilità degli europei per la redistribuzione degli immigrati è e resterà molto limitata. Ciò costringe l’Ue a generare una strategia di “penetrazione ordinativa” in Africa per bloccare l’immigrazione nei luoghi di origine. Al momento questa sembra indirizzata a dare un premio – modello Turchia – alle nazioni che controllano i flussi umani. Ma l’avanzamento in questo modo dell’eurolimes verso sud non potrà funzionare ed esporrà l’Ue a costi senza ritorno, ricatti ed ingaggi controproducenti oltre che alla perdita del marchio di “potenza etica”. Quale strategia, allora, potrebbe funzionare? Quella di vedere l’Africa non più come un problema, ma come un’opportunità. Cioè immaginare un ciclo di capitale dove quello europeo, con altri, finanzia la domanda di beni e servizi prodotti e/o basati nell’Ue, che, ricordiamoci, è una potenza manifatturiera alla ricerca di spazi crescenti di mercato. Tale approccio avrà come effetto secondario quello di far vedere agli africani con intenzione di migrare che l’Africa offre più opportunità dell’Europa. Ricolonizzazione predatoria? No, la strategia è quella di rendere ricchi gli africani affinché comprino beni europei. Influenza corroborata da presidi ordinativi? Questa è necessaria per dare stabilità al ciclo di capitale. Alternative? L’America sta segnalando che è disposta a dare risorse di back up sia militari sia finanziarie all’eventuale azione europea, in particolare per contenere l’influenza cinese e russa in Africa, ma non un ingaggio diretto. In sintesi, tocca all’Ue mettere in ordine l’Africa creando un mercato euroafricano.
Da dove iniziare? La prima mossa dovrebbe essere la creazione di un’EurAfrican Investment Bank, a maggioranza euroamericana ed aperta alla partecipazione di tutti gli Stati africani. La seconda quella di un contributo diretto tecnico dell’Ue per aiutare ad integrare le tre aree di libero scambio già esistenti in Africa allo scopo di averne una sola con standard di mercato omogenei (Eurafrica Initiative). Sarebbe meglio selezionare diverse aree di intervento vista la diversità tra Africa araba, nera orientale e meridionale? No, l’azione dovrà essere panafricana perché se indirizzata solo a nazioni specifiche favorirebbe controreazioni, per esempio una mobilitazione contro il neocolonialismo. Troppi rischi dovuti alla necessità di modernizzare tanti regimi nazionali dittatoriali, tra l’altro tutelati da Cina e Russia, sostituendoli? Pragmatismo e back up statunitense aiuterebbero a demoltiplicare tali rischi. Chi scrive ritiene che lo scenario qui abbozzato meriti approfondimenti.