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Carlo Pelanda: 2021-7-12La Verità

2021-7-12

12/7/2021

La strategia europea dell’arma verde è debole

Qual è la vera “strategia verde” dell’Ue a guida franco-tedesca? Fermare il riscaldamento globale abbattendo le emissioni di gas serra, principalmente l’anidride carbonica (CO2)? Mi prendo la responsabilità di ipotizzare controcorrente che sia più realistico pensare che il cambiamento climatico venga preso come scusa per ergersi a campione mondiale della sua mitigazione puntando ad una decarbonizzazione rilevante dell’area europea entro il 2050 mentre i maggiori emettitori di CO2, Cina e America, non potrebbero riuscirci se non al costo di una depressione economica. Semplificando, la Francia, le cui produzione elettrica è fornita al 70% da centrali nucleari che non emettono CO2, ha individuato la possibilità di creare un’arma verde utile a scambiare qualcosa con le altre due potenze maggiori non avendo la medesima potenza militare ed economica. Scambiare cosa? Ora è chiaro: nel G20 di Venezia Parigi ha proposto una tassa globale piuttosto elevata per chi produce troppa CO2. A cosa serve? A giustificare “dazi ambientali” contro le importazioni dalla Cina e dall’America. Protezionismo? Non necessariamente, ma certamente strumento, appunto, per scambiare vantaggi in sede di negoziato nonché per ottenere una capacità dissuasiva. Arma potente? Il dazio ambientale spaventa la Cina: questa dirà sì alla proposta francese, con dietro l’Ue, ma la terrà limitata ai soli principi con l’intento di mai arrivare all’applicazione: la dipendenza della Cina dal carbone, infatti è tale da non renderne possibile un’eventuale decarbonizzazione sostituiva prima del 2070. Cosa vorrà scambiare la Francia? Quello che sta già scambiando con Pechino: tecnologia nucleare decarbonizzante con vantaggi per l’industria francese e geopolitici. Se così, esenzione condizionata dai dazi ambientali per Pechino.

Ma senza il sostegno della Germania, la Francia non potrebbe nemmeno tentare tale strategia. Che interesse ha la Germania? Prima di tutto ha la priorità di mostrare che il governo basato sulla coalizione tra democristiani e socialdemocratici è più verde dei verdi allo scopo di limitarne la crescita elettorale. Poi una priorità quasi pari è quella di salvare l’auto tedesca. Già l’amministrazione Obama dichiarò guerra ai marchi germanici, in particolare al diesel, non tanto a favore di quelli statunitensi, ma per condizionare la Germania dove l’industria automobilistica è colonna portante del Pil e dell’export. I tedeschi furono massacrati di multe. Ma reagirono con investimenti massivi per diventare leader nella mobilità elettrica, centinaia di miliardi in buona parte in forma di aiuto di Stato occulto. La strategia di elettrificazione della mobilità ha bisogno di un obiettivo molto ravvicinato e perfino ossessivo per collegarla alla salvezza del pianeta. E su questo piano c’è la piena convergenza con la Francia. Ma c’è di più. Gli strateghi di Berlino studiano da tempo come dare alla Germania lo status di potenza non avendo più questa né i panzer né il marco. La risposta è stata: “potenza etica”, da trasferire all’Ue, ma per poi ritrasferirla alla Germania che ne è il maggiore potere. Con quale scopo? Ammantare di moralità il cinismo geopolitico utile per il mercantilismo che a sua volta implica il neutralismo (per vendere a chiunque). Il verdismo, ma scambista, è perfetto per tale scopo.

L’America? E’ in imbarazzo perché non potrà decarbonizzare con la stessa velocità dell’Ue a causa della dipendenza dal petrolio (che produce). Infatti nel G20 di Venezia sta presentando un’alternativa all’ecotassa globale in forma di incentivi. Dovrà scambiare qualcosa con gli europei. Dovremmo quindi pensare che l’arma verde sia una strategia di vantaggio per l’Ue? Da un lato, è una strategia sofisticata. Dall’altro, è un costrutto debole. L’elettricità per le auto elettriche viene prodotta via idrocarburi contaminanti mentre la creazione di energie alternative è molto lenta. La decarbonizzazione troppo accelerata tende a mettere in difficoltà un numero di aziende superiore a quelle nuove o capaci di riadattarsi, con il rischio di risultati controproducenti. Quindi è in dubbio, nonostante le profezie forzate, che la strategia verde-dissuasiva riduca veramente la CO2 e crei nuovo lavoro. Inoltre è impensabile che l’Ue ponga dazi verdi nel momento in cui, massimamente dipendente dall’export, è vulnerabile ai dazi altrui.

Ci sarebbe qualcosa di meglio? Da qualche tempo si può ipotizzare di sì. Non solo la CO2 può essere imprigionata sottoterra in quantità enormi, come mostrano gli esperimenti in Islanda e anche in Italia (Eni), ma soprattutto può essere trasformata da problema in risorsa. Appare promettente, infatti, la ricerca che punta a trasformare la CO2 gassosa in carbonio solido, via catalisi. Il carbonio solido è un materiale eccezionale: dalle superbatterie ai non-metalli più resistenti e flessibili dei metalli stessi. Ma i movimenti verdi sono contro tale tecnologia trasformativa – al cui riguardo la scienza residente in Italia è parecchio evoluta – perché ritengono che enfatizzarla poi attutisca i vincoli di de-carbonizzazione. E le strategie francese e tedesca sarebbero spiazzate da una soluzione così semplice.  Sarebbe più produttivo, invece, un accordo euro-americano e G7 per un megaprogramma di accelerazione dei sistemi che estraggono la CO2 dall’atmosfera trasformandola in carbonio solido puro. Questa sarebbe la vera decarbonizzazione non recessiva. L’Italia? Dovrebbe rinegoziare la condizionalità in ecomateria dei fondi Ue nel senso detto.

(c) 2021 Carlo Pelanda
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