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Carlo Pelanda: 2021-6-13La Verità

2021-6-13

13/6/2021

Ci vuole un trattato euroamericano per ridurre la dipendenza dell’Ue dalla Cina

Nei lavori del G7 che hanno ristabilito la convergenza euroamericana, entro un linguaggio di alleanza tra democrazie a livello globale in funzione anticinese, gli europei hanno mostrato cautela nel nemicizzare la Cina comunista. Il motivo è la loro dipendenza economica dalla Cina stessa. Per la Germania è fortissima e infatti Angela Merkel, primo leader europeo, è stata invitata a Washington per parlarne. Per la Francia lo è meno, ma Parigi vuole continuare a mantenere relazioni con Pechino caratterizzate da una certa autonomia dagli Stati Uniti. Anche per l’Italia la dipendenza è minore, ma in alcuni settori è rilevante. Chi scrive ha spesso raccomandato di puntare ad una convergenza forte degli europei con l’America per poter negoziare con questa uno spazio concordato e non strategico di relazioni economiche con Cina e Russia, posizione per altro espressa anche da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, in nome del realismo (geo)politico. Ma, da un lato, la convergenza non è ancora così forte da permettere questo passo pragmatico. Su un altro lato, negli ultimi mesi l’aggressività esterna e la brutalità interna cinese sono talmente aumentate da ridurre lo spazio per relazioni commerciali neutrali, costringendo a rivedere il criterio del realismo: ora questo si è spostato più verso il contenimento competitivo dell’espansione cinese nel mondo da parte dell’alleanza tra democrazie (G7 + India, Corea del Sud, Australia, ecc.). Ciò implica una riduzione forte della dipendenza economica dalla Cina e un azzeramento della sua influenza politica nelle nazioni democratiche, azione la seconda che riguarda in particolar modo l’Italia.

La Cina adotta tre metodi di influenza. Il principale, per le nazioni ricche, è quello di concedere alle unità economiche di queste dei vantaggi privilegiati nell’enorme mercato cinese allo scopo – a parte quello di rubare tecnologia e know how – di usarle, via lobbying, per promuovere relazioni politiche dei loro governi a favore di Pechino. Il secondo, applicato alle nazioni emergenti, è quello di offrire mega investimenti infrastrutturali, protezione e in alcuni casi armi, chiedendo in cambio l’impiego di manodopera cinese, sudditanza nonché il loro voto all’Onu. Il terzo, classico, è il reclutamento via incentivi di personale locale con certa influenza. Il primo metodo è stato applicato in modo massivo in America e Germania fin dagli anni ’90. Il secondo in Africa e America latina, in particolare dal 2007 quando l’America distratta dalla priorità della guerra contro l’insorgenza islamica, ha ridotto la sorveglianza della penetrazione cinese in queste aree. In Italia è stato applicato un mix dei tre metodi, ma con più attenzione sul reclutamento delle persone. Inoltre ci sono particolarità: la Chiesa, anche molto prima di questo papato, ha l’interesse che ci siano buone relazioni tra Italia e Cina e importanti politici italiani sono stati influenzati in tal senso. In sintesi, in Italia c’è un partito filocinese con caratteristiche diverse e radici più profonde di quelli esistenti in altre democrazie, questi per lo più attivi per fare/difendere business.

Soluzioni. Il partito filocinese non business va smontato. Come? L’intelligence italiana ha la lista, ma sarebbe controproducente rendere noti i nomi sia perché alcuni sono di vero rilievo sia perché l’incentivo cinese è molto raffinato, non provabile in modo aperto. Pertanto il metodo dovrà essere riservato, soft, ma incisivo. Al riguardo dei filocinesi per il solo motivo del business il problema è più difficile: alcuni settori industriali sono molto dipendenti dal mercato cinese e dalle forniture dalla Cina. Pertanto ci vuole una strategia graduale, come hanno fatto in America per lo stesso motivo, che definisca i settori dove raggiungere l’autonomia strategica sul piano delle forniture e i soldi per ottenerla. Al riguardo dell’export, poi, offrire alle aziende facilitazioni per sostituire il mercato cinese. L’Italia è ricattabile sul piano del turismo cinese con grandi numeri. Ma può ridurre tale ricattabilità con accordi che aumentino i flussi dall’area delle democrazie. Osservando tutta la matrice della dipendenza economica sia italiana sia tedesca dal mercato cinese, però, emerge che se ci fosse un trattato di libero scambio tra America ed Ue sia Roma sia Berlino potrebbero più facilmente sostituire la dipendenza dalla Cina, aggiungendo un’azione del G7 per includere rapidamente l’India, l’Australia, forse il Sudafrica, e iniziare a rendere più convergenti le relazioni con il Brasile e l’Indonesia, ecc. Il punto è il trattato bilaterale euroamericano e l’estensione dell’azione economica del G7 facendolo diventare G7 plus. L’idea americana di un mega investimento di decine di migliaia di miliardi di dollari in 15 anni da parte delle democrazie per le infrastrutture nel mondo emergente, oltre che al loro interno, faciliterebbe la riduzione della dipendenza dalla Cina autoritaria da parte di tutti. Ma Joe Biden dovrebbe rendersi conto che l’avvio di tale movimento richiede un trattato euroamericano così solido da non essere cambiato da un successore con idee diverse. Pertanto il “deal” euroamericano dovrebbe essere: L’America sigli un trattato economico stabile e simmetrico con l’Ue e questa potrà ridurre più rapidamente e sostanzialmente la dipendenza dalla Cina, compresa l’Italia.

(c) 2021 Carlo Pelanda
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