L’obbiettivo primario dell’offensiva iraniana (via Hamas) e palestinese contro Israele è sabotare l’accordo di Abramo, quello secondario è dimostrare l’impossibilità di convivenza pacifica tra cittadini di Israele di fede musulmana ed ebraica. La condizione di vittoria per gli iraniani e per i palestinesi è il “congelamento del conflitto” perché dimostra che un conflitto c’è e che con Israele è possibile solo una relazione tra parti in guerra e non una convergenza. Pertanto la posizione sia dell’Amministrazione Biden sia dell’Ue di fare cessare i fuochi favorisce lo scopo politico iraniano-palestinese perché impedisce ai governi arabi di approfondire la convergenza collaborativa avviata con l’accordo di Abramo. In sintesi, per l’Iran il mantenimento dello stato di guerra con Israele ha un’utilità geopolitica e, per i palestinesi, economica: ogni anno miliardi di dollari vengono loro donati per solidarietà anti-israeliana. Il punto: Stati Uniti ed Ue dovrebbero modificare il loro intervento nella questione per tutelare l’accordo di Abramo.
Quando nel novembre 2019 partecipai come relatore allo “Strategic Debate” ad Abu Dhabi, organizzato del ministero degli Esteri degli Emirati, ebbi l’opportunità di intravedere alcuni stralci dell’accordo di Abramo in fase di negoziato tra Emirati stessi ed Israele, sotto l’occhio benigno dell’Arabia saudita e l’impulso degli inviati dell’Amministrazione Trump. Ne guardai subito la parte economica prospettica: la formazione di un enorme mercato centrato su un movimento modernizzante delle élite arabe con il contributo tecnologico di Israele e basato sulla fine del conflitto tra questa e l’Islam sunnita. Osservai con attenzione in sala il comportamento di almeno 200 rappresentati dei diversi governi ed organizzazioni arabo-sunniti, in particolare al riguardo del progetto di costruire in un unico sito una moschea, una chiesa cristiana ed una sinagoga: a parte qualcuno, la maggioranza sembrava più che favorevole. Gli americani presenti mi confermarono che era in atto un cambiamento di mondo. Ma un collega professore del Kuwait mi avvertì: l’Iran farà di tutto per sabotare l’accordo.
Infatti, lo sta facendo. Perché ora? L’Amministrazione Biden è molto divisa tra pro e anti Israele. Inoltre, ha iniziato trattative segrete con l’Iran. Pertanto il centro strategico di Teheran è convinto che Washington, alla fine, premerà sulla fine del conflitto armato, ma niente di più. E all’Iran basta che questo resti latente per impedire che i governi arabi instaurino buone relazioni con Israele. Se lo facessero, infatti, la popolazione non capirebbe e si rivolterebbe contro di loro, dopo decenni di demonizzazione di Israele stessa. Un indizio che l’Amministrazione Biden è debole in questo teatro è fornito dal fatto che l’Arabia saudita ha avviato contatti riservatissimi con l’Iran perché non si sente protetta a sufficienza dall’America. E, anche notando che l’Iran non ha scatenato del tutto gli Hezbollah in Libano e i pasdaran collocati in Siria, ha intuito che Teheran potrebbe inserire la sua postura nei confronti di Israele nel negoziato con gli americani. Questi, per altro, sono alle prese con una situazione complessa: l’Iran sta andando nelle mani della Cina, la Russia deve convergere con Teheran per evitarlo e la Turchia vede un’opportunità di profilarsi come difensore dell’Islam contro Israele, approfittando del fatto che l’America vuole tenerla comunque nella Nato e che l’arcinemico saudita è meno appoggiato dall’America stessa. L’inesistenza dell’Ue combinata con l’indecisione statunitense favorisce la strategia sia iraniana sia turca.
Israele è in difficoltà, non certo militare, ma politica. Deve necessariamente reagire in modi forti contro i missili e contro l’insorgenza sia degli arabi cittadini di Israele (che si sono compattati in unico partito di certo rilievo in parlamento) sia dei palestinesi nei dintorni, istigati da provocatori ben addestrati (e pagati). Ma più si difende con la forza, pur limitandola al massimo, più costringe i regimi arabi a prendere posizioni di tradizionale anti-sionismo. Sul piano comunicativo internazionale ha contro le sinistre. Deve eliminare i leader di Hamas a Gaza, questi mettono i bambini come scudo alle loro postazioni, allora l’esercito israeliano con uno stratagemma li costringe a nascondersi in gallerie e riesce a eliminarli comunque. Ma qualche bimbo muore e la stampa internazionale enfatizza questo fatto, rendendo fatto minore l’uccisione di bimbi e famiglie israeliani. E’ evidente che Israele è nuovamente sola, circondata da uccisori di ebrei. Ma a questo è ormai abituata e sa difendersi. Tuttavia, da sola non riuscirà a salvare la vera soluzione sistemica, con beneficio per tutti, del Trattato di Abramo.
C’è ancora, in realtà, una possibile soluzione che lo salvi se America ed Ue valutassero in modo più lucido quale sia il vero scopo politico dell’azione. Non voglio qui anticiparla per evitare di dare idee ai sabotatori. Mi sento solo di scrivere che l’interesse geoeconomico dell’Italia è quello di difendere gli sviluppi del Trattato di Abramo e non di essere complice di Iran e prezzolati palestinesi. E di fare i complimenti al primo ministro austriaco, Sebastian Kurz, che ha issato la bandiera israeliana sul palazzo della Cancelleria a Vienna.