E’ in corso la ricerca sulla futura configurazione dell’Ue. In materia trovo utile mettere a confronto la teoria delle “sovranità condivise” espressa da Mario Draghi da qualche anno e quella delle “sovranità convergenti e reciprocamente contributive” elaborata da me e Paolo Savona tra il 2000 e il 2005 (cfr i libri “Sovranità e ricchezza, 2001; Sovranità e fiducia, 2005) e ulteriormente specificata nel mio ultimo libro (“La riparazione del capitalismo democratico”, Rubbettino, giugno 2021). Tra le due teorie c’è una differenza sottile, ma sostanziale.
Il punto è il metodo di composizione di nazioni. La teoria di Draghi ha il merito di inserire, realisticamente, nel linguaggio europeista il tema delle sovranità nazionali. E tenta di comporle immaginando un agente confederale europeo dove ogni sovranità possa esprimere i propri interessi e trovare bilanciamenti. Da un lato, è simile al “metodo funzionalista” che creò la convergenza tra le nazioni nel periodo della Comunità europea tra il 1957 e la fine degli Anni ’80: le nazioni si accordavano su temi di utilità comune e dove questa non era chiara per tutti si rinviava il tema senza bloccare il processo di convergenza. Dall’altro, porta entro istituzioni europee già strutturate tale metodo, con una pressione implicita a trovare accordi ed equilibrio in nome del criterio di “condivisione” erto a bene comune. Questa teoria-modello risente della necessità tecnica di fornire un soggetto di politica fiscale integrato a sostegno della moneta unica: non ci può essere, infatti, una moneta senza Stato, come lo stesso Draghi ha recentemente ribadito. Inoltre, il metodo della condivisione della sovranità non ha bisogno che sia realizzato tutto e subito, ma è sufficiente la tendenza capace di ordinare i linguaggi delle diverse nazioni verso l’obiettivo di condivisione. Appunto, è una teoria pragmatica-evolutiva che tiene in considerazione il fatto che Germania e Francia, ed altri, non vogliono – né possono sul piano del consenso interno - sciogliere la loro sovranità entro un agente europeo, ma che col tempo e passo dopo passo la “sovranità condivisa” potrà essere raggiunta nelle prassi.
La teoria delle “sovranità convergenti e reciprocamente contributive” si differenzia da quella di Draghi perché persegue un’alleanza di forza crescente tra nazioni e non un’unione. L’obiettivo è un’integrazione sufficiente che dia vita ad un mercato comune (convergenza) e ad un accordo di compattazione per programmi condivisi e gestione delle emergenze (reciprocità contributiva). Motivi: ogni nazione deve sentirsi comoda in un complesso e la formula di alleanza soddisfa meglio questo criterio; bisogna essere prudenti nel togliere sovranità alle nazioni perché espone il complesso a frammentazioni nazionalistiche (ogni costrutto multietnico nella storia è imploso); se si toglie parte della sovranità ad una nazione, questa poi deve essere tornata alla nazione stessa in una forma compatibile con il complesso e ciò e quasi impossibile nel modello unionista. Soprattutto, esiste una relazione forte tra sovranità e ricchezza. Da un lato, l’Europa va costruita come comunità armonica di democrazie, anche esperimento per un’integrazione globale futura delle stesse. Dall’altro, un modello di Ue meno vulnerabile a situazioni tipo Brexit è quello dove le nazioni restino sovrane, ma adattando la loro sovranità al criterio di convergenza e di cooperazione per programmi specifici ed emergenze. In sintesi, il modello proposto è quello di “meno di un’unione desovranizzante, ma molto più di un’alleanza tra nazioni” dove la partecipazione all’alleanza stessa è per tutti un moltiplicatore di forza e ricchezza.
Resta il problema tecnico che non ci può essere moneta senza Stato e ciò genera un vantaggio per la teoria di Draghi. D’altra parte, la moneta unica non è una garanzia contro la frammentazione. E ciò genera un vantaggio per il modello delle sovranità convergenti basato su una posizione di comodità nel complesso. Poiché ritengo di peso maggiore quest’ultima condizione, propongo di accelerare la ricerca più su come un’alleanza rafforzata tra nazioni sovrane possa reggere una moneta unica piuttosto che togliere loro la sovranità perché la moneta lo richiede. Ci sono soluzioni accettabili di area monetaria sub-ottimale. E queste soluzioni, per inciso, vanno studiate anche per dare una moneta stabile ad un futuro mercato globale delle democrazie che non potrà avere uno Stato unico. Sono convinto che alla fine Draghi dovrà affrontare il come comporre sovranità nazionali che accetteranno la convergenza, ma non la condivisione, come oggi succede. Mi auguro che questo rimarchevole pensatore pragmatico consideri la teoria delle “sovranità convergenti e reciprocamente contributive” come schema per risolvere lo stallo europeo, anche esperimento per scenari globali futuri di composizione tra nazioni democratiche.
In sintesi, propendo per un’alleanza europea che punti ad un’integrazione sufficiente – necessaria per le relazioni con altri megastati – che non costringa le nazioni partecipanti ad eccessive cessioni di sovranità. L’enfasi dovrebbe andare sull’effetto di moltiplicazione di forza che una singola nazione ha grazie alla partecipazione all’alleanza europea. E poi su questo dato costruire la reciprocità contributiva nonché il metodo di definire l’interesse nazionale in modo combinato con quello del complesso europeo, cioè la convergenza reale. Se così, la differenza tra sovranisti ed europeisti non avrebbe più senso e ciò sarebbe un passo integrativo rilevante.