La ripresa ha un buon ritmo. Per spingerla è sufficiente rimuovere i blocchi ai flussi di persone. Il governo è entrato in questa logica e lo scenario è ottimistico. Ma consolidare la ripresa stessa è materia più complicata. La ricerca economica mostra che dopo una crisi la ripresa dell’occupazione è più lenta, semplificando, di quella del Pil. Ciò avviene, tipicamente, perché sia le aziende sono prudenti nel tornare ad investire sia la crisi lascia ferite lunghe da rimarginare. I dati correnti lo confermano. In America il “boom” in atto non sta trainando con altrettanta velocità il recupero della disoccupazione generata dalla pandemia. Qui Banca d’Italia avverte che quasi il 60% delle famiglie ha problemi di reddito, in particolare quelle dove questo è generato dal lavoro autonomo, categoria senza protezioni. Il sistema bancario segnala una percentuale elevata di aziende che stanno perdendo il merito di credito. A questo quadro, poi, va aggiunto il fatto che l’emergenza medica ha impattato sul sistema mentre questo subiva un altro impatto: la rivoluzione tecnologica, cioè un cambiamento strutturale del sistema economico che disintermedia i precedenti modi di produrre e vendere. Con situazioni paradossali: le aziende che si stanno adeguando non trovano lavoratori con una formazione sufficiente per il nuovo mondo; i fondi europei per la transizione tecnologica e digitale non sono accompagnati da un programma di formazione dei lavoratori (e manager) che dovrebbero concretizzare la transizione stessa. I governi hanno i dati per vedere il problema di consolidamento della ripresa. Ma l’Ue ha stanziato risorse che sono meno della metà di quelle attivate in America. L’Italia è in ritardo per un programma straordinario che sostenga il lavoro e ha poco tempo per colmare il gap.