La scorsa settimana si è concretizzato un cambiamento nel mercato internazionale che avrà impatto sull’export italiano: la convergenza dell’Ue con l’America nella guerra economica contro la Cina. Finora la Germania aveva cercato di resistere alle pressioni statunitensi di creare un’alleanza delle democrazie contrapposta ai regimi autoritari, in particolare Cina, per interessi mercantilistici, cioè per mantenere l’accesso del suo export a tutti i mercati (che vale il 52% del Pil incluso l’indotto). Infatti, nel dicembre 2020 Merkel, nel ruolo di Presidente di turno dell’Ue, aveva siglato il trattato “Cai”, in materia di investimenti, tra Ue stessa e Cina. Ma ora questo è stato, di fatto, annullato: l’Ue ha approvato una misura che vieta gli investimenti esteri sostenuti da denaro statale, considerando che qualsiasi investimento cinese ha una componente “di Stato”. Inoltre, nel recente G7 di Londra è stato deciso un coordinamento per le politiche nei confronti della Cina con il preciso scopo di contenerne l’espansione dell’influenza e lo sviluppo tecnologico. Inoltre, c’è un processo di inclusione dell’India nel mercato delle democrazie per sostituire la Cina. Pertanto gli esportatori italiani devono tener conto di questa “deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva”, dove chi prende posizione in Cina rischia sanzioni e varie difficoltà, molto business in fase di riposizionamento nelle democrazie del Pacifico. Inoltre devono tener conto che la catena di forniture con origine cinese avrà problemi. In sintesi, le nostre aziende devono fare una rapida valutazione strategica per prendere posizione in tempo utile nel mercato delle democrazie in costruzione. E anche fare pressione affinché venga siglato un trattato di libero scambio tra Ue e Usa per consolidare sul piano dei flussi commerciali la convergenza geopolitica selettiva.