La politica economica del governo di stimolazione della crescita in forte deficit – con gestione qualificata - merita un commento del tutto positivo. In particolare, è convincente l’enfasi sulla crescita più che sul contenimento del debito, cioè sul metodo di aumentare molto la prima per rendere sostenibile il secondo, rendendolo gradualmente in discesa in relazione al Pil. Ma anche induce riflessioni sulle condizioni che permetteranno all’Italia di raggiungere l’obiettivo.
Quelle esterne richiedono che l’Ue non torni al rigore e che la politica monetaria della Bce resti espansiva per molti anni. A questo livello Mario Draghi sembra aver fatto una mezza forzatura. Mezza perché il fabbisogno di liquidità d’emergenza combinato con quella stimolativa avrebbe richiesto – stima di chi scrive per questo periodo – un extradeficit aggiuntivo di almeno 60-70 miliardi, cioè più di quanto stanziato (40 mld). Pertanto si intravede l’esercizio di una prudenza limitativa. Ma è in ogni caso una forzatura perché, facendo semplici proiezioni, l’Italia già sconta prima che le istituzioni europee l’abbiano approvata, una tolleranza per anni di deficit superiori al 3% e di un indebitamento oltre il 160% del Pil a riduzione lenta. In particolare, il governo italiano già assume la non applicazione dell’insieme di trattati “Fiscal compact” che impongono un rigore stringente della finanza pubblica tale da soffocare ogni speranza di crescita per causa di compressione esterna. Da un lato, tale postura italiana merita un applauso. Dall’altro chiama una domanda: è sicuro Draghi che poi a fine 2022 lo schieramento nordico-rigorista non prevarrà, osservandone i mugugni già ora? In altri termini: sta prendendo un rischio pre-negoziato oppure uno puro? La sensazione di chi scrive è che confida sulla giustezza del metodo keynesiano (stimolazione in deficit) per convincere gli altri europei, anche mostrando che o si attutisce l’eccesso di rigore dell’architettura europea oppure l’euro – moneta incompleta perché senza pilastro fiscale – salterà. Il profilo di Draghi ha buone probabilità di reggere via compromesso favorevole un tale confronto. Ma resta l’incognita di quale posizione la Germania prenderà dopo le elezioni politiche del prossimo settembre e di quanto resterà in carica, o influente, Draghi stesso. In sintesi, sta prendendo un rischio. Chi scrive è più che d’accordo, permettendosi solo di segnalare che tale rischio potrebbe essere mitigato da una convergenza geopolitica bilaterale perfino più forte di quella attuale tra Italia e Stati Uniti. Qualcuno potrebbe aggiungere che sarebbe utile anche una maggiore convergenza con la Francia perché ha problemi simili, se non perfino più gravi dell’Italia. Vero in teoria, ma nei fatti la Francia continua ad avere comportamenti predatori nei confronti dell’Italia: fino che dureranno il prezzo per cooperazioni bilaterali forti con Parigi sarebbe troppo alto.
Assumiamo, in questa bozza artigianale di scenario, che la compressione esterna alla crescita dell’economia italiana si riduca nei prossimi anni. Se così, l’Italia non avrebbe più la scusa di un’architettura europea maldisegnata per giustificare la sua eventuale poca crescita e produttività. In tal caso sarebbe il mercato ad alzare i dubbi sull’Italia riportando l’attenzione sulla sostenibilità del debito. E gli altri poteri europei avrebbero un argomento fattuale per condizionare l’Italia in maniera stringente. Anche questo è un rischio preso da Draghi: scommettere che sia possibile rendere il sistema italiano efficiente. Le ricerche di chi scrive hanno rilevato che l’impoverimento dell’Italia negli ultimi 20 anni sia dovuto a cause interne per 2/3 e solo per 1/3 alla “gabbia” europea: disordine istituzionale, leggi malscritte, sprechi improduttivi, politici e partiti inadeguati, in generale assenza di un “progetto nazionale” e di poteri esecutivi eletti forti. Da un lato, l’economia italiana è dinamica e molto competitiva. Dall’altro, l’inefficienza istituzionale e la forza frenante del sistema dei partiti, combinata con una configurazione del sistema industriale fatto di unità troppo piccole sottocapitalizzate e di quello finanziario troppo bancocentrico, hanno soffocato lo sviluppo residente, pur elevato il suo potenziale. Questo governo appare consapevole. Per esempio, ha creato un nucleo di comando isolato dai partiti, dando a questi ruoli ausiliari e sta tentando di affidare a gestioni commissariali trasparenti i grandi programmi infrastrutturali e simili. Ma alla fine i partiti riprenderanno il loro potere e lo Stato orizzontale. Pertanto Draghi ha fatto una scommessa di riparazione dell’Italia che, al momento, sembra eccedere le capacità di riparazione stessa. Dove sta il bandolo della matassa per trovare soluzioni? Prima di tutto costruire una testa della nazione: accordo tra i partiti per creare una Repubblica presidenziale o almeno l’elezione diretta dell’esecutivo, caricando o l’uno o l’altro di poteri adeguati, con lo scopo di riparazione e rilancio del sistema. Servono un progetto nazionale sostenuto da un’ampia coalizione, la costruzione di un potere eletto verticale capace di realizzarlo all’interno e di avere forza sufficiente per armonizzare l’interesse nazionale con quello degli altri partner europei, ed oltre. Pertanto il bandolo è l’emergere di una nuova consapevolezza nei partiti.