I primi scenari tecnici indipendenti tendono a ridimensionare gli effetti benefici del Pnrr. L’impatto specifico sulla crescita complessiva, misurata in modo macro dal Pil, sarà poco nel periodo 2021-26, minimo (circa lo 0,4% stimato preliminarmente da alcune fonti) quello nell’anno in corso. Gli investimenti tematici condizionati dagli indirizzi della Commissione europea tenderanno a finanziare più le importazioni che le produzioni nazionali. Questo aspetto va ancora approfondito, ma la probabilità che tale fenomeno si avveri è elevata. Per esempio, l’investimento in infrastrutture per la mobilità elettrica amplierà il mercato delle auto tedesche – le cui industrie produttrici hanno stanziato enormi fondi già da tempo per la conversione dei mezzi – e non certo di quelle italiane, anche perché il settore si è trasferito in Francia (Stellantis) e in altri luoghi. Prima di fare una valutazione consolidata, però, bisogna capire se la produzione italiana di componenti, settore portante dell’economia italiana, non soffrirà troppo nel cambio di tecnologia. Ma già oggi si può intravedere un’operazione che via condizionalità tematica europea finanzia i produttori, per lo più, francesi e tedeschi. C’è un precedente: quando venne incentivata l’energia solare si fece un regalo enorme alle aziende cinesi che producevano a basso costo i pannelli solari. Cioè le facilitazioni nazionali finanziarono la capacità industriale estera e non italiana. In generale, analizzando tutti i settori tematici degli investimenti con finanziamento europeo, bisognerebbe ottenere una mappa chiara di cosa sarà importato e cosa potrà aumentare la domanda stimolativa per prodotti italiani. Il motivo è che la vera spinta trasformativa per ottenere più modernizzazione e crescita dipende da quanta capacità produttiva residente verrà creata o ampliata in Italia. Chi scrive è a favore dei sistemi aperti ed è contro il protezionismo, ma è anche consapevole che un investimento è produttivo quando crea capacità permanenti e non semplicemente domanda per importazioni. Questo commento non vuole essere critico nei confronti dell’attuale governo perché si è trovato nelle mani una bozza di Pnrr generata da quello precedente composto da persone poco tecniche o che hanno agito, consapevolmente o meno, come agenti di influenza straniera che non si sono accorti che i soldi dati all’Italia in realtà erano un finanziamento indiretto per l’industria francese e tedesca. Poco poteva correggere questo governo e forse poco potrà nel prossimo futuro. Infatti l’opinione qui espressa vuole generare più attenzione nel sistema dei partiti affinché smetta di dichiarare all’unisono che i soldi devono essere spesi bene senza specificare il criterio, di cui quello più importante è indirizzare più risorse possibili verso la costruzione di una capacità nazionale e non solo limitarsi a finanziare l’offerta altrui. La sensazione dello scrivente, poi, è che il piccolo nucleo “draghiano” nel governo sia consapevole di questo problema, ma che sia circondato da partiti e politici che, pur con rimarchevoli eccezioni, non capiscono un’acca della realtà industriale e geo-economica.
Quale soluzione? Oltre a cercare di rendere più produttivi per il sistema territoriale gli investimenti eurocondizionati, muovere il vero motore dello sviluppo italiano. Chi scrive, come altri su queste pagine, ha spesso sollecitato l’attenzione sul fatto che il risparmio italiano non riesce a finanziare lo sviluppo delle imprese italiane, ma desidera citare Paolo Panerai che in un editoriale su Milano Finanza ha quantificato questo incredibile fenomeno: il 70% del risparmio residente viene indirizzato verso investimenti che finanziano lo sviluppo di altre nazioni. In sintesi, c’è in Italia un risparmio tra i più elevati del pianeta, ma anche il minor tasso di conversione del risparmio stesso in investimenti sull’economia nazionale. Eppure la piccola-media impresa italiana è, mediamente, un “salvadanaio magico”: ci metti un euro e ne ricavi tre. Sembra una battuta esagerata, ma in realtà deriva dal punto di osservazione di un fondo di investimenti dedicato all’Italia dove lo scrivente opera. Ma pochissime aziende vanno in Borsa dove è più facile l’incrocio tra risparmio e suo moltiplicatore industriale. Il punto: c’è un motore enorme di ricchezza e sviluppo già residente in Italia, le sue decine di migliaia di piccole-medie aziende molto competitive più un grande cumulo di risparmio liquido (al momento 1.700 miliardi fermi sui conti bancari), ma è inceppato. Pertanto la priorità delle riforme riguarda l’accensione di questo motore incentivando le aziende ad ingrandirsi e ad aprirsi al capitale privato, nonché alla quotazione in Borsa (1.500 aziende circa già pronte) ed allo stesso tempo facendo una campagna di istruzione tecnica ai risparmiatori affinché mettano in portafoglio più investimenti nelle aziende o nei fondi specializzati, potenziando i malscritti fondi Pir ed altri strumenti. Appunto, questa è la priorità: mobilizzare almeno 400 miliardi di risparmio privato per trasformarli in investimenti sullo sviluppo delle imprese residenti che offrono un buon rapporto tra rischio e rendimento. Ciò non vuol dire disprezzare l’impulso modernizzante del capitale pubblico via Pnrr, ma significa capire ciò che è veramente propulsivo: il raccordo tra risparmio e investimenti privati.