Va messa tra le priorità una riflessione strategica in materia di trasporti aerei e densità degli aeroporti sul territorio a fronte di una pressione dell’Ue che ostacola sia il rilancio di Alitalia come compagnia a raggio mondiale sia il mantenimento e l’eventuale aumento di aeroporti locali.
Il turismo e l’indotto derivato valgono circa il 13% del Pil. L’attrattività del territorio italiano è unica al mondo perché può aggiungere al turismo di relax l’esperienza di una “macchina del tempo” per la storia plurimillenaria fisicamente residente e una varietà di “culture materiali” che è fonte di sorprese esclusive, gustabili solo in loco, per i frequentatori: cibi, bevande e ambienti. Infatti il settore del turismo ha un potenziale di crescita enorme ancora non sfruttato. Nella simulazione di tale crescita, a parte una riorganizzazione espansiva dell’industria culturale e turistica, appare subito come punto critico il come aumentare le masse di turisti stranieri provenienti da ogni parte del globo. Uno potrebbe dire che basta organizzare e comunicare meglio la ricezione e poi tutte le linee aeree saranno in competizione per intercettare i flussi di persone che vogliono venire in Italia. In un mondo di concorrenza equa e di libero mercato la priorità sarebbe il marketing territoriale e non il sistema dei trasporti. Ma nell’ambiente europeo è rilevabile una “geopolitica del turismo” semplificabile come azione da parte degli Stati di dirottare il più possibile flussi turistici sul loro territorio, attraverso l’influenza sui pacchetti viaggio e altri marchingegni. Per esempio, è rilevabile come compagnie aeree europee (partecipate da Stati) abbiamo offerto via agenzie collegate pacchetti turistici con tale scopo. Poi è rilevabile una geopolitica ancora più diretta: la Cina manda(va) i suoi turisti in relazione all’amicizia dimostrata dal governo ricevente; la Germania, maggiore esportatore di turismo in Europa, tiene sotto controllo Spagna, Grecia e Croazia sia influenzando pacchetti sia, in particolare, utilizzando la forza della sua grande compagnia aerea di bandiera, aiutandola riservatamente, con aiuti di Stato nascosti, ad acquisire altre aerolinee. Ci sarebbero decine di altri esempi di “geopolitica del turismo”, che poi sono flussi di capitale, che il giornalismo investigativo dovrebbe individuare fino al 2019 perché tale azione sarà molto più intensa dal 2021 in poi e sfiorerà la guerra economica. In questo contesto l’Italia, secondo la Commissione Ue (Direzione per la concorrenza) dovrebbe far fallire Alitalia oppure farne emergere dalle ceneri una molto piccolina in base alle regole che vietano gli aiuti di Stato. Non necessariamente c’è intenzionalità ostile. Ma Roma non dovrebbe nemmeno accettare di sottoporsi all’esame in tale materia ed affermare nei fatti il progetto di ricreare una compagnia aerea sotto controllo (golden share) e iniziale capitalizzazione statale grande abbastanza per andare a prendersi direttamente i turisti in qualsiasi parte del mondo, portandoli in Italia. Chi scrive è liberista e soffre nell’invocare una statalizzazione di Alitalia che la ingrandisca, ma riconoscendo che il settore è contaminato da concorrenza sleale deve mettere in priorità la difesa della ricchezza nazionale. Possibile? L’analisi qui abbozzata è certamente realistica: dipende dalla forza del governo darle conseguenze. Poiché a causa della pandemia tutte le linee aeree stanno ottenendo aiuti massivi di Stato sarebbe incomprensibile se l’Italia non riuscisse ad ottenere un’eccezione analoga. Ovviamente in materia è chiave la comprensione da parte del governo che investire una decina di miliardi per estendere Alitalia implica un ritorno molto superiore per la crescita del settore turistico.
C’è poi una pressione dell’Ue relativa al numero degli aeroporti in Italia – tanti per logica di difesa distribuita durante la Guerra fredda – i cui costi non sono sostenibili dal volume di traffico. Qui l’interesse nazionale è non solo mantenerli, ma anche aumentarli per dare a ogni (semi)regione uno spazio ampio di connettività aerea. Il motivo primario è la sicurezza in un territorio al 70% sismico e con un’orografia che limita la viabilità terrestre, questa anche vulnerabile al rischio idrogeologico. Servono pertanto tanti luoghi raggiungibili da aerei, con grandi hangar per magazzino e ricoveri d’emergenza. Un piano di protezione civile fatto seriamente non può non vedere questa necessità. E se fatto così va opposto all’eventuale pressione riduzionista dell’Ue motivando con ragioni di sicurezza la deroga o l’eccezione. Una densità di aeroporti locali è anche correlata alla competitività di poter portare un turista comodamente molto vicino ad un luogo decentrato, considerando la diffusività territoriale delle attrazioni italiane. Una tale infrastruttura, poi, darebbe vita ad un trasporto aereo locale interno, persone e merci, non stagionale, sostenendola. In conclusione, chi scrive raccomanda una visione sistemica per la sicurezza e competitività territoriale, suggerendo come motto: caelum ac terram miscere (connettere cielo e terra).