E’ impensabile che il governo italiano permetta l’acquisto di Iveco da parte della cinese Faw - Jefang perché se lo facesse sarebbe travolto da dissensi interni sindacali e politici e da reazioni avverse da parte dell’alleanza tra democrazie, ora in fase di ricomposizione, che sta sia riducendo la dipendenza dalla Cina nazionalsocialista per l’importazione di materie strategiche sia creando un coordinamento (Tech-10) per vietare l’export di alta tecnologia verso la Cina stessa. Per tale motivo è sorprendente che Pechino abbia lanciato un’offerta di acquisto con il rischio (suo) di esasperare la “questione cinese” in Italia. Infatti tale offerta formalizzata, pur inviata una preliminare, al momento, non c’è. Così come sarebbe sorprendente se Cnh Industrial, l’azienda proprietaria di Iveco che a sua volta ha Exor come azionista di riferimento, guidata dagli eredi Agnelli con presidente John Elkann, decidesse di trasformare i colloqui preliminari con Faw in una vendita vera. Ma l’Ue, su forte spinta tedesca, ha firmato nel dicembre 2020 il Cai (Comprehensive Agreement on Investments) con la Cina dove questa ha fatto concessioni enormi (nominali) sul piano della reciprocità commerciale e del rispetto di norme ambientali - per inciso utile a valutarne la sincerità ha recentemente aumentato l’impiego del carbone - e di tutela del lavoro allo scopo di compattare i tanti accordi bilaterali precedenti in uno solo: l’interscambio tra Cina ed Ue è di circa 650 miliardi anno con uno squilibrio di circa 170 a sfavore degli europei. Entro questo schema potrebbe Pechino pensare che l’offerta di acquisizioni in Europa sia possibile? Cnh Industrial, che ha deciso di vendere i camion e gli autobus Iveco (non la parte militare) ha contattato lei i cinesi, avendo anche operazioni in Cina, o è stata contattata? Exor vuole far vendere a Cnh Industrial (che è italoamericana) il comparto civile di Iveco a Faw-Jefang solo per far cassa oppure c’è una relazione con la strategia di Stellantis (recente fusione tra Fca e Peugeot) che vuole togliere dalla proprietà un attore cinese e nella trattativa offre a Pechino un bocconcino italiano? Difficile dirlo perché Exor ha fatto rifiutare l’offerta cinese di 3,5 miliardi per Iveco, dicendo di volerne di più, e ciò contrasta con l’ipotesi di scambi politici, quali una compensazione o l’accesso futuro di Stellantis al mercato cinese nel momento in cui il concorrente Renault sta facendo uno sforzo enorme di penetrazione. Tante cose non sono chiare, ma una deve esserlo: Iveco non avrà bandiera cinese, a costo – perdonatemi - di irizzarla.
C’è la tutela dei lavoratori e del know how di Iveco. C’è l’interazione con Iveco Difesa (Bolzano), che produce mezzi militari di qualità eccezionale, sul piano dei motori e dell’ingegneria integrata, settore a cui i cinesi sono interessati per rubare know how che ancora non hanno. A proposito, non è che Germania e Francia vedano bene un rimpicciolimento del complesso Iveco per ridurre il profilo della Iveco militare per poi comprarsela con spiccioli ed eliminare un concorrente italiano nei piani franco-tedeschi che prevedono il dominio dell’industria militare europea e dei finanziamenti Ue? Fantasia paranoica? Si spieghi perché Francia e Germania hanno rifiutato l’ingresso dell’Italia nel consorzio per il carro armato europeo di nuova generazione. Ma tornando alla “questione cinese” va segnalato che è delicata. Pechino era già convinta di aver conquistato l’Italia grazie al reclutamento di importanti figure politiche e istituzionali, tra cui il precedente premier e ad una posizione di certa convergenza da parte del Vaticano (ora molto ridotta). Inoltre, l’intelligence cinese – il cui “Dipartimento italiano” è tra i più attrezzati - è stata abile nel dare ad imprenditori italiani un accesso privilegiato al mercato cinese in cambio di loro pressione sulla politica. Va citata la battuta di Mike Pompeo ad alcuni di questi in un’occasione informale: fare business va bene, ma esistono anche i valori di appartenenza (intendendo il mondo delle democrazie). Ma bisogna riconoscere che c’è un’aspettativa di convergenza dell’Italia da parte cinese a causa degli errori di ingenuità aperturista, particolarmente quando Roma ha siglato l’accordo per la Via della Seta (per altro ora implosa) sopra la soglia politica mentre gli altri europei erano attenti a restarne sotto. Pertanto un rifiuto politico a industrie cinesi potrebbe provocare reazioni non proporzionali con impatto negativo sul business italiano. Sarebbe meglio premere informalmente su Exor affinché istruisse le controllate di rifiutare la vendita ai cinesi per motivi di prezzo, di mercato, senza costringere il governo ad esercitare la “golden share”. Ma per la complessiva “questione cinese” serve di più. Angela Merkel ha dovuto premere l’Ue per firmare il Cai perché Xi Jinping, in persona, ha ricattato l’export tedesco. Ma il Cai attende l’approvazione del Parlamento europeo. Qui lo si può rinviare, annullandolo. Possibile, utile? Nella lunga telefonata di venerdì tra Ursula von der Leyen e Joe Biden è stata siglata la pace euroamericana sui dazi come precursore per un trattato di libero scambio e una maggiore collaborazione per respingere e comprimere la Cina. Da questo evento, e chiedendo agli europarlamentari italiani di fare rumore contro il Cai, nonché monitorando con occhio dissuasivo la componente filocinese in Germania, si può derivare uno scenario che compensi eventuali perdite sul mercato cinese con guadagni in quello statunitense. Tutti i cinesi sono benvenuti, ma non il loro regime autoritario, aggressivo, bugiardo e ladro nonché le sue aziende che ne sono strumento.