Parecchi segnali indicano che Ue ed Eurozona reagiranno alla caduta del consenso sul modello europeo non cambiando le regole restrittive, ma sospendendone il pieno rispetto. Un indizio di tale tendenza, anticipato da una concessione all’Italia, è dato dalla non applicazione di sanzioni a Spagna e Portogallo che non hanno rispettato il piano concordato di rientro dal deficit. La gestione del caso greco, ancora aperto, appare più morbida. Sul piano della riparazione dei sistemi bancari stressati le apparenze indicano il mantenimento delle rigidità, in particolare nei casi italiano e sloveno, ma si intuisce un sostegno sottobanco a “soluzioni di mercato” gestite dai governi interessati. Così come prese di posizione “chiusiste” in riferimento ai flussi di immigrati e rifugiati, particolarmente forte quella ungherese, non vengono più redarguite a voce alta. Il motivo è dovuto all’interesse generale di togliere la questione di un’Europa che non funziona dalle agende politiche nazionali, e dalle prime pagine dei giornali, sia in vista di prossime elezioni politiche, le principali in Francia e Germania nel 2017 sia in relazione a situazioni di instabilità corrente (Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, ecc.). In sintesi, l’idea è di rendere meno invasiva o presente l’Europa nella comunicazione per evitare che diventi bersaglio di dissensi popolari e svantaggio per le offerte politiche eurocontinuiste. Ma questa idea comporta che fino al 2018 Ue ed Eurozona non cercheranno miglioramenti che implichino revisioni, aggiunte o concretizzazioni delle parti dei trattati ancora non ancora realizzate. Per Francia, Italia, e altri, sarebbe una buona notizia il rinvio del Fiscal Compact, che obbliga a riduzioni del debito in modi e tempi depressivi. Ma per la stabilità dell’Eurozona sarebbe un rischio grave il non completamento dell’unione bancaria. In particolare per l’Italia: tale unione, infatti, implica un’eurogaranzia di fatto sul debito italiano – c’è un’ovvia relazione tra stabilità bancaria e solvibilità di una nazione - che gli elettorati tedesco e olandese rifiutano di condividere. Ciò apre un dilemma per Roma: conviene assecondare la pausa europea o pretendere rumorosamente la realizzazione rapida dell’unione bancaria? Oppure scambiare l’adesione alla pausa, comoda per Merkel e Hollande, con una derubricazione silenziosa del Fiscal Compact? Il tema si pone perché Roma, controcorrente, ha chiamato chiamato Parigi e Berlino a un evento esplicito, a breve, di rilancio dell’Ue e nel 2017 ospiterà le celebrazioni per il 60° del Trattato di Roma. Io scambierei.