Il 18 marzo vi sarà in Alaska il primo incontro ad alto livello tra funzionari dell’Amministrazione Biden e governo cinese. Probabilmente verrà fatta la lista delle situazioni di frizione con la premessa che ambedue le parti intendono rispettare l’accordo di non attaccare l’altra per prima. La lista porrà limiti al conflitto commerciale, pur l’America ribadendo la riduzione dell’importazione di materiali strategici dalla Cina e divieti all’export nella Cina stessa di altri imposti ai suoi alleati (Tech-10), e genererà un sistema di consultazione bilaterale preventiva per evitare lo scoppio di frizioni che possano perturbare il mercato. In sintesi, l’ipotesi è di una “collaborazione entro una situazione di conflitto “sistemico”, modello già sperimentato durante la Guerra fredda: l’export cinese verso l’America verrà limitato e condizionato, ma non amputato. E viceversa. Da qui la probabilità crescente di una riduzione delle tensioni commerciali per convenienza di ambedue.
Ma i rapporti non verranno stabilizzati perché mancherà un accordo sulle sfere di influenza tra Pax Americana e Pax Sinica come invece accadde – accordo di Yalta - ai tempi della Guerra Fredda tra Unione sovietica e Stati Uniti. L’Amministrazione Biden ha una postura imperiale più netta e sistemica di quella erratica dell’Amministrazione Trump: ha il progetto di rigenerare la Pax Americana nel globo costruendo un’alleanza tra democrazie (e quasi) molto più grande della Pax Sinica. E per il momento non vuole riconoscere confini tra le due perché pensa di espandere i propri fino al punto di ridurre la Cina ad un potere limitato entro i suoi nazionali. Per questo Washington ha messo in priorità il consolidamento delle alleanze nel Pacifico: la prima visita fisica sarà in Giappone, il corteggiamento dell’India intensificato, ecc. In questa strategia, che sta diventando una Grand Strategy, cioè duratura, c’è un problema per gli europei occidentali: Washington dà per scontato il riuscire ad allinearli e li tratta con priorità secondaria, pur con linguaggio di convergenza che, per esempio, ha già sospeso i dazi reciproci per il contenzioso Airbus-Boeing ed altri. Tale secondarietà dell’Ue era già presente nel tentativo, tra il 2013 ed il 2016, dell’Amministrazione Obama quando tentò la creazione di due aree amerocentriche di libero scambio nel Pacifico e nell’Atlantico. E’ un problema? Certamente, i (mega)flussi di capitale di investimento seguono la geopolitica: l’Ue diventerebbe periferia del ciclo globale del capitale. Pare utile segnalare tale rischio per impostare rimedi: ce ne sono.