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Carlo Pelanda: 2021-1-31La Verità

2021-1-31

31/1/2021

La difesa contro i biorischi è una nuova funzione militare

Bisogna valutare il trasferimento della sicurezza medica contro le epidemie ai sistemi militari. Il tema è delicato, ma la prima lezione dopo un anno dall’inizio di questa pandemia è che le nazioni devono prepararsi a reazioni e prevenzioni rapidissime. Per ottenerle, chi scrive opta per la militarizzazione della sicurezza anti-epidemica oltre una certa soglia di pericolosità.

Non voglio spaventare, ma è ovvio che la pandemia abbia stimolato una nuova valutazione della guerra biologica. Produrre un agente virale costa immensamente meno che costruire un’arma nucleare e i suoi vettori. Inoltre l’azione può essere furtiva. Sul piano dei governi, al momento, non vedo allarmi. Ma va considerato che quelli più attrezzati, indipendentemente dai trattati limitativi, finanziano da sempre la ricerca biochimica e genetica avanzata per difesa e attacco, non fidandosi. Per esempio, mi sono chiesto come mai alcuni vaccini siano stati approntati in poche settimane. Da un lato, la ricerca medica civile, industriale ed universitaria, è molto evoluta e dinamica. Dall’altro, non si può escludere l’esistenza di una piattaforma di ricerca militare riservata e avanzatissima da cui è stata derivata un’applicazione medica. Per esempio, vaccini con forte carico di scienza genetica non sono cose che si inventano in poco tempo: ci vogliono anni. Voglio dire che la guerra biochimica è rimasta latente per decenni, ma la ricerca non si è mai interrotta ed ora, anche considerando la nuova competizione geopolitica per la vaccinazione, sta ricevendo una spinta. Da questa, anche considerando la non intenzionalità, potrebbero derivare errori (come forse quello del laboratorio franco-cinese di Wuhan). Ma anche strumenti offensivi di genetica selettiva. Ciò attiva un nuovo livello di difesa che eccede le capacità normali di sanità. Che comunque va attivato nei confronti di gruppi apocalittici non statali. Le fazioni che usano il terrore come strumento per fini politici, tipicamente, non hanno come obiettivo distruzione massive, ma solo selettive per ottenere riconoscimenti, reclutamenti e forza negoziale. Ma nel momento in cui vedono che è possibile creare un virus ad alta diffusività creando un laboratorio con due dottori di ricerca invasati e una decina di martiri come distributori, non si possono escludere attacchi massivi. Preoccupa poi il dato che un anno di pandemia abbia ridotto l’inquinamento a fronte di un linguaggio emergente nei gruppi ecoterroristi che per salvare il pianeta bisogna ridurre la biomassa antropica e i mammiferi emettitori di gas serra di cui si nutre: appunto, un virus letale a prolungata incubazione (quindi ad alta diffusione) costa poco e le competenze sono reperibili. In sintesi, non possiamo sottovalutare questo rischio generato dall’evidenza dell’impatto pandemico. Così come non possiamo sottovalutare il rischio epidemico di origine ambientale non intenzionale. Per ambedue la difesa non può essere solo la sanità ordinaria e la protezione civile.

Il punto è la rapidità di reazione non solo scientifica, ma anche di produzione e distribuzione dei rimedi. L’esperienza della pandemia ha mostrato che non è gestibile la convivenza tra economia e virus. Pertanto la difesa è approntare in pochi giorni un sistema di individuazione produzione e distribuzione del rimedio. In prima ipotesi questo è compito assolvibile solo da un’organizzazione militare predisposta e addestrata. Ciò non significa militarizzare gli ospedali, ma creare in alcuni di essi centri di pronto intervento per pericoli eccezionali e una funzione di difesa medica centrale che includa la capacità di far produrre il rimedio a massa in pochissimo tempo, predisponendo il coordinamento delle industrie. Per la distribuzione, poi, serve una logistica capace di impiantare centri di somministrazione ad alta densità territoriale e flussi controllabili. Serve anche un sistema di intelligenza artificiale che fornisca ad ogni individuo i giusti messaggi e che sia ben difendibile da attacchi informatici, in caso. Tutte queste cose indicano la necessità di una funzione di difesa da includere nelle missioni militari e nel loro bilancio, con una logica duale: i mezzi militari compatibili, e l’addestramento, devono essere arricchiti della capacità di intervenire per emergenze biochimiche. Cioè costruire una capacità militare specifica e di coordinamento di tutte le risorse a seguito di una dichiarazione di emergenza di massimo livello.  Il farlo nel solo ambito nazionale serve a poco. Pertanto l’ipotesi è di aggiungere una settima missione alla Nato: biodifesa. Se vogliamo salvare la gente e allo stesso tempo l’economia, secondo me bisogna esplorare questa opzione. Posso aggiungere che, simulandola, avrebbe costi sostenibili di preparazione e magazzino. Se avessimo avuto un’organizzazione come qui accennata, con un reparto di intelligence integrato a livello Nato, avremmo saputo già nel novembre 2019 che c’era un pericolo, un vaccino sarebbe stato disponibile nei primi mesi del 2020 e la distribuzione di questo sarebbe stata fatta in non più di dieci settimane nell’area Nato ed ora questa avrebbe già superato la recessione nonché mantenuto l’occupazione. Se approfondiamo tale simulazione, ricaviamo i parametri dell’obiettivo di organizzazione preventiva che andrebbe creata. Sollecito la Nato a farla per poi presentarla ai governi, sperando in una funzione Nato stessa poi estesa a tutto il G7 e democrazie asiatiche: l’area del capitalismo democratico ha bisogno di una nuova funzione di sicurezza integrata per la difesa della fiducia economica contro i nuovi biorischi.    

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