Parecchi analisti profetizzano un cedimento dell’America nel 2021 a causa di una situazione interna conflittuale e di un divario crescente tra ricchi e poveri, i secondi crescenti e inclini a soluzioni apocalittiche. Il tema riguarda la capacità dell’America di restare il riferimento mondiale per la sicurezza e l’economia. Il più degli alleati si sta riassicurando contro la possibile perdita di tale capacità dell’America aprendosi a relazioni con la Cina. Paradossalmente, chi crede di meno ad un indebolimento prospettico dell’America è proprio il centro strategico di Pechino. Infatti sta accelerando la sua diplomazia inclusiva sia nei confronti delle nazioni del Pacifico sia dell’Ue per prendere posizioni di forza utili nel momento in cui l’America si ricompatterà e riprenderà una forza economica tale da ridurre, almeno in parte, l’antagonismo interno dovuto all’impoverimento. Inoltre, Pechino teme la sinistra statunitense perché è sia più sensibile all’ideologia democratizzante sia più incline ad usare lo strumento della guerra guerreggiata (aerea), se dichiarata giusta, di quanto lo sia la destra influenzata da correnti isolazioniste. Pertanto Pechino sta concedendo tantissimi vantaggi agli alleati asiatici ed europei dell’America per farseli amici o renderli dipendenti allo scopo di togliere strumenti all’America prima del ripristino del suo potere. Va anche citata una variante di questa bozza di analisi: la Cina sta accelerando non perché tema l’America oltre misura, ma perché vuole negoziare con l’America stessa da una posizione di maggior forza con lo scopo di trovare un aggiustamento. Infatti, è possibile che una parte degli strateghi cinesi, dando il giusto peso alle fragilità interne (paurose) e al fatto che le nazioni del Pacifico ed europee manterranno un’ostilità latente nonostante l’aggancio economico, persegua più un compromesso con l’America che non un confronto con essa. Ma recentemente Xi Jinping ha dovuto concedere più potere ai militari che finora aveva compresso, anche togliendo loro il “diritto di stecca” sulle operazioni industriali. Non è escluso, pertanto, un conflitto tra falchi e colombe entro la dittatura cinese, i primi pronti all’offensiva contro Taiwan anche per ricattare Xi Jinping stesso, pronti a rimuoverlo se tentennasse. Proprio tale considerazione porta l’attenzione ai tempi di ricostruzione della capacità imperiale americana.
Le cronache si sono concentrate sugli aspetti folkloristici dell’instabilità statunitense. In realtà la sostanza è minima, molto inferiore alla rivolta dei gilet gialli in Francia o all’insurrezione della Catalogna. Il dato politico vero è che ci sono quattro partiti: sinistra estrema e centrista, destra estrema e centrista, dove le ali di ambedue sono forti. Ma i numeri mostrano che la maggioranza al Congresso è fatta da centristi di destra e sinistra. Ovviamente tale considerazione ha rilievo in relazione alla strategia del potere esecutivo. Difficilmente il 78enne Joe Biden punterà ad un secondo mandato. Pertanto farà nel primo azioni non partitiche, ma che possano dargli un ruolo di rilievo nella storia. Queste non potranno essere di estrema sinistra e quindi per annullarla – come sta già mostrando nelle nomine dell’esecutivo – cercherà la convergenza dei repubblicani centristi. Gliela concederanno? Sulle materie di ricostruzione della forza americana, su azioni robuste contro la Cina, sul riallineamento degli alleati e sul linguaggio di pacificazione interna è molto probabile. E ciò rende altrettanto probabile che si formi una maggioranza informale, pur selettiva, con sostanziali capacità stabilizzanti, anche sul piano dell’economia. Per tale motivo chi scrive, diversamente da tanti analisti che forse si sono fermati alle apparenze, ritiene che l’America riprenderà il suo potenziale di impero già entro il 2021.
Ma il potenziale, non necessariamente la forza imperiale vera. Già da tempo l’America è troppo piccola per gestire da sola un impero globale (e i suoi costi) e ha bisogno di alleati convergenti e contributivi. Qui ci potrebbe essere instabilità. L’americanismo di Donald Trump ha spaventato gli alleati. La Cina li sta corteggiando con doni irresistibili (e riservati ricatti). Quali, tra questi, i più deboli o divergenti? Certamente l’Ue. La Francia macroniana ha scommesso su una sovranità europea francocentrica post-Nato e non vorrà riconvergere troppo con l’America, pur senza ostilità. Ma il problema principale è il rischio di instabilità della Germania in vista delle elezioni politiche del settembre 2021: in basso c’è una montante ribellione contro l’Ue, in alto una confusione politica perfino peggiore di quella italiana – poco visibile perché la politica tedesca è più istituzionale – sulla collocazione internazionale e politiche interne rilevanti. In conclusione è l’instabilità della Germania dovuta ad un modello calibrato su un passato che non c’è più e l’ambigua propensione della Francia a ricompattarsi con l’America il vero rischio di incapacità dell’America stessa a tornare rapidamente nel ruolo di pilastro dell’ordine mondiale. La partita americana (e cinese) si giocherà in Europa più che nel Pacifico (Mosca attentissima). Fattore di vittoria o sconfitta? Le democrazie si compattano se hanno un nemico comune e vincono anche investendo risorse sulla ricchezza interna per esportare forza e modello all’esterno. La Cina è il nemico perfetto per indegnità e aggressività, ma molto abile. Pertanto il punto non è l’America che farà quello che può, ma la mobilitazione morale del complesso delle democrazie europee e la volontà di comandare il mondo, europei e americani uniti dal liberalismo e non altri. Questa la sfida.