Nella strategia per la ripresa dell’economia italiana vanno stimate le velocità di recupero e spinta dei diversi settori allo scopo di renderli oggetto di politiche appropriate. L’export sarà il traino principale nel periodo residuo di convivenza con le limitazioni, pur decrescenti grazie alla vaccinazione anticovid, cioè fino all’estate-autunno del 2021. Ma poi lo resterà anche quando vi sarà il rimbalzo dei consumi interni e del settore dei servizi nonché del turismo, questo probabilmente lento, cioè pieno nel 2022-23. I progetti finanziati via bilancio europeo sia con fondi d’emergenza sia ordinari, al netto dell’attuale vaghezza, comunque produrranno effetti differiti nel tempo. E probabilmente saranno meno salvifici di quanto ora sperato da tanti. Inoltre, è improbabile che l’Italia riesca a modificare nel prossimo futuro un modello principalmente basato sull’export che compensa la poca crescita interna per bassa produttività, eccesso di spesa improduttiva e regole antimercato. E ci vorrà tanta crescita per ridurre il rapporto con un debito pubblico mostruoso. Pertanto la priorità è ampliare lo spazio per un export fluido nel globo. Poiché la Commissione europea ha la delega da parte delle nazioni, sotto il controllo del tavolo intergovernativo (Consiglio), per la strategia dei trattati economici esterni – poi l’esito deve essere approvato da governi e parlamenti – l’azione dell’Italia dovrebbe concentrarsi sul livello intraeuropeo. Una maggiore influenza nell’Ue, inoltre, è necessaria perché il mercato globale è cambiato: si esporta in modo sicuro in aree dove i flussi sono regolati da trattati commerciali. L’utilità dell’Ue, tralasciandone i tanti difetti, è quello di rappresentare una grande regione economica con notevole forza negoziale. Ma i trattati commerciali hanno rilievo geopolitico e sta crescendo - pur silenziato – il conflitto tra Francia e Germania sulla collocazione internazionale dell’Ue. L’Italia è sempre più controllata dalla Francia, ma i suoi interessi convergono con la Germania perché ambedue le nazioni, oltre che integrate industrialmente, sono massimamente dipendenti dall’export. Serve un chiarimento, prima di tutto nella politica italiana.
Quali trattati, e con quale priorità, dovrebbe cercare l’Ue per interesse italiano e tedesco composto con quello della maggior parte degli altri europei? Certamente un trattato doganale con l’America che abolisca la maggior parte dei dazi: la formazione di un sistema euroamericano con flussi liberi – pur con un residuo di alcuni settori protetti perché socialmente delicati – darebbe un impulso medio all’export italiano che lo porterebbe a contribuire tra lo 0,5 e l’1,2% al Pil annuo. Quello complessivo dell’Ue avrebbe anche un beneficio considerevole. I problemi di competizione dei prodotti statunitensi verso quelli europei sarebbero minori dei vantaggi. Tale ipotesi è ricavata dai dati del vantaggio per l’export europeo – per quello italiano è massimo – derivato dai trattati commerciali con Canada e Giappone. In priorità parallela – cioè entro il 2021/22, ma con beneficio immediato perché il solo avvio di un negoziato permette al mercato di ridurre il rischio percepito di dogana e barriere – va inserito un accordo di libero scambio tra Ue e Regno Unito. Chi scrive ritiene che l’avvio dei negoziati con l’America possa includere anche Londra, con formula trilaterale. Il trattato con l’America, poi, ha una rilevanza strategica fondamentale: è interesse europeo-italo-tedesco concordare con l’America stessa uno spazio di relazioni commerciali con Cina e Russia considerato non pericoloso affinché l’euro-export verso oriente non scateni ritorsioni dall’America. Poi l’Ue dovrebbe iniziare a sondare l’area economica che si sta formando a seguito dell’accordo di Abramo tra Emirati ed Israele con il consenso dell’Arabia. E muoversi in modo concordato con l’America per l’approccio all’India, tenendo un occhio all’Africa e all’America del Sud con relazioni che preparino un trattato futuro quando tali aree saranno più ordinate. La Commissione, per altro, si sta muovendo nella direzione detta e oltre, ma la Francia sta ostacolando i due trattati più importanti con America e Regno Unito. E Parigi lo sta facendo per l’obiettivo di costruire una sovranità europea francocentrica con mani libere nel confronto di potenza tra Cina e America, pur non ostile alla seconda, e per protezionismo. E al riguardo di Londra per escluderla più decisamente dai giochi europei e atlantici. Lo scontro tra Germania, che vuole accelerare la (ri)convergenza euroamericana ed eurobritannica, e Francia, pur nelle segrete stanze, è al calor rosso sulla materia. Pechino sta coccolando Parigi, che pur prudentemente tuba, e premendo con bastone/carota su Berlino affinché approvi il Bit, cioè l’accordo commerciale Ue-Cina in negoziazione da anni, temendo come la morte un accordo euroamericano con effetti anche nel Pacifico. Ma Berlino resiste, avendo già avviato colloqui riservati con la futura amministrazione Biden, per altro senza consultare Parigi. Cosa dovrebbe fare Roma? Certamente trovare il coraggio per dire chiaramente che il suo interesse coincide con quello tedesco in materia di commercio estero e creare una specifica cooperazione rafforzata con Berlino. L’Italia in questa partita ha una grande rilevanza passiva: la trasformi in attiva per l’interesse nazionale composto con quello della maggior parte degli altri europei