Il regime nazionalcomunista di Pechino reprime qualsiasi divergenza interna deportando i devianti in campi di rieducazione (laogai) sospettabili di essere anche luoghi di sterminio. Esercita un controllo puntuativo su ogni individuo – via penetrazione nei mezzi elettronici di comunicazione – a cui assegna un punteggio di buona condotta (rating sociale) dal quale dipendono gli accessi ai migliori lavori. Instaura contratti neocolonialisti con le dittature dei paesi in via di sviluppo: protezione del dittatore, denaro e armi in cambio di materie prime a basso costo, lavori infrastrutturali per impiegare manodopera cinese e il voto all’Onu. Lo sviluppo tecnologico cinese si è per lo più basato sul furto di know how e spionaggio industriale. I dati economici sono oscurati o truccati. La repressione del movimento per la democrazia a Hong Kong è sempre più violenta. Queste informazioni e altre che confermano la postura repressiva ed aggressiva del regime cinese sono reperibili da fonti pubbliche, per esempio i documenti pubblicati dall’ufficio ricerche del Congresso statunitense che, per inciso, convinsero nel 2017 sia repubblicani sia democratici a dichiarare “ora basta”, votando congiuntamente. I dati che filtrano dall’intelligence di diverse nazioni democratiche, poi, sono impressionanti sia perché dettagliano un regime di tipo nazistoide sia una debolezza che fa temere non solo l’aggressività del regime cinese, ma anche la sua debolezza ed il rischio di implosione tecnica con rischio di contagio economico globale: la Cina è un doppio pericolo immanente. Il punto: come mai tali informazioni non vengono riportate in modo dettagliato e commentate sui media italiani, pur essendoci rimarchevoli eccezioni, per esempio queste pagine e qualche analisi coraggiosa individuale sui giornaloni che però la lasciano isolata? Il senso della domanda è che nelle democrazie la politica deve tener conto delle opinioni degli elettori anche se tenta spesso di manipolarle: la libera stampa ed il giornalismo investigativo servono proprio la missione democratica di informare il meglio possibile affinché la consapevolezza di massa possa dare un indirizzo alla politica. Il fatto che le indagini demoscopiche mostrino – diversamente da altre nazioni comparabili dove i media sono più attenti alla “questione cinese” – che ai cittadini italiani in maggioranza o quasi piaccia la Cina nazionalcomunista è un indicatore che fa ipotizzare l’assenza di informazioni corrette. Bisogna indagare su questa anomalia italiana.
Ipotesi. L’apparato strategico cinese è molto raffinato. Pertanto è ipotizzabile il reclutamento di importanti influenzatori di opinione sia in modi diretti sia indiretti. Non voglio citare casi italiani perché dovranno essere altri ad indagare in casa nostra, ma posso citare il metodo osservato in America e Giappone, nonché Germania: il regime ha dato a grandi gruppi industriali un accesso di privilegio all’enorme mercato interno cinese chiedendo in cambio influenza pro Cina sulla politica e sui media di casa loro. Poi è evidente una censura da parte dei recenti governi italiani fatta con metodi inversi: parlar bene della Cina con enfasi sui vantaggi futuri. Questa non è necessariamente un’accusa, ma è la segnalazione che le istituzioni italiane si sono trovate di fronte al dilemma tra mercantilismo e identità morale, scegliendo il primo perché le altre nazioni democratiche concorrenti sul piano dell’export stavano facendo lo stesso, Francia e Germania in particolare. Ma c’è un’ipotesi accusatoria da quando la Germania, da qualche settimana, ha pilotato l’Ue verso rapporti più freddi con la Cina e più caldi con l’America: la politica italiana è rimasta passiva e indecisa cercando di mantenere il rapporto storico con l’America, ma senza limitare la relazione con la Cina. Evidentemente c’è una sensibilità particolare, o un residuo forte di questa, alle pressioni o lusinghe cinesi. Influenza del Vaticano con l’interesse a strappare un compromesso a Pechino per l’operatività della Chiesa in Cina? Anche se il Papa ha recentemente condannato il genocidio degli Uiguri musulmani da parte di Pechino – dimenticandosi di citare i tibetani e i cristiani cinesi torturati e costretti a sostituire le immagini sacre con quelle di Xi Jinping, pur citando i cristiani uccisi nelle aree islamiche – il Vaticano ha ancora interesse a chiudere la trattativa offrendo alla Cina la sua influenza (notevole) sull’Italia. Tutto questo, e altro da scoprire, ha un peso sull’informazione manipolata o assente in materia di Cina? L’ipotesi è che ce l’abbia, motivo per avviare un’indagine di collaborazionismo con un regime similnazista e forse di tradimento non solo della nazione, ma dell’identità fondamentale della cittadinanza democratica.
Nell’occasione prego di distinguere tra cinesi e regime: i primi vanno rispettati e ho notato negli ultimi anni che sempre più di loro vogliono abbattere il regime e sostituirlo con una democrazia. Per aiutarli, devono sentire che c’è un mondo delle democrazie a cui fare riferimento. Ma in questo mondo al momento l’Italia non c’è. Spero che destre e sinistre italiane vogliano, invece, rientrarvi e si uniscano nell’offrire rifugio ai combattenti per la libertà di Hong Kong prima che vengano tutti imprigionati e/o uccisi, appello scritto da una madre di uno di questi giovani – ferito e nascosto - a me personalmente, motivo di questo articolo.