La bozza dell’”Accordo per il commercio e la cooperazione” tra Ue e Regno Unito, siglata alla vigilia di Natale, dovrà essere confermata dal parlamento britannico, probabilmente entro l’anno, e da quello europeo, nonché dal tavolo intergovernativo (Consiglio) ai primi di gennaio. E’ anche previsto un esercizio provvisorio delle clausole nel caso le procedure di conferma prendano tempo. Ma sono improbabili sorprese. Pertanto la bozza (un migliaio di pagine) può già essere valutata in relazione agli interessi delle nazioni coinvolte, quello italiano in particolare.
L’Accordo si basa su tre pilastri: libero scambio, garanzie reciproche per la sicurezza dei cittadini e un meccanismo congiunto di controllo per rendere certe sul piano giuridico le relazioni ed aggiustare eventuali problemi. Da un lato, il primo gennaio 2021 il Regno Unito sarà definitivamente fuori dall’Ue. Dall’altro, si riconnetterà con l’Ue stessa attraverso una relazione di partenariato molto strutturata: di fatto è come se Londra non fosse uscita, certamente non dal mercato unico che, alla fine, è ciò che veramente conta sul piano del realismo. La Germania, via l’attivismo esplicito della “vice-mutti” Ursula von der Leyen e quello riservato della mutti Angela Merkel, ha salvato il suo imponente export verso il Regno Unito (che è importatore netto di oggetti dall’Ue anche se rilevante esportatore di servizi). L’Italia, pur passiva e subordinata ad una Francia che ha sempre posto ostacoli ad un accordo semplice e pragmatico con la Gran Bretagna, ha anche ottenuto il vantaggio importante di difendere il suo notevole export, soprattutto, nel settore alimentare. La Francia ha dovuto mollare un atteggiamento punitivo contro la Brexit, tenuto per anni pur con l’eleganza diplomatica di Michel Barnier, capo negoziatore francese della Ue, sia per dissuadere altri a uscire dall’Unione, questa visto come un futuro spazio imperiale francocentrico sia per tentare di staccare l’Ue stessa dalla Nato e dalla garanzia nucleare britannica, restando Parigi la sola con bombe e missili nucleari. E ha mollato perché la Germania le ha fatto pressione e perché, alla fine, anche Parigi si è resa conto del danno per tutti se avesse continuato a restare di traverso. Alcuni analisti ritengono che la posizione antinglese della Francia fosse anche alimentata dalla strategia di forzare la secessione della Scozia pro-europea o per costringere Londra ad arrendersi o per destabilizzarla. Qualcosa di non chiaro, tipo l’azione nel Quebec francofono in Canada di parecchi decenni fa e il reclutamento di tante figure rilevanti in Italia, che continua, è successo in modi compatibili al modus operandi dei servizi segreti francesi (influenza penetrativa). Ma, appunto, alla fine Emmanuel Macron si è rimesso in un sentiero di convergenza, anche perché una Brexit dura avrebbe messo la Francia in situazioni ingestibili sul piano dei flussi commerciali e delle persone.
Il Regno Unito ha ottenuto quello che voleva, a parte forse nel settore della pesca: mani libere per muoversi in modo non eurocondizionato nel globo e pieno accesso al mercato dell’Ue in condizioni di relazione doganale simmetrica e zero dazi. Potrebbe restare ancora aperta la questione dell’esportazione dei servizi finanziari nell’Eurozona, ma è difficile che vi possa essere una barriera rilevante. Inoltre ha ottenuto la demoltiplicazione del rischio di secessione della Scozia, questa pronta a un nuovo referendum se non vi fosse stato l’accordo con la Ue, e del Galles e, soprattutto, una soluzione per l’Irlanda del Nord: resta a confini aperti con la Repubblica d’Irlanda, di fatto nell’Ue in regime speciale. Londra ha già siglato decine di accordi commerciali bilaterali in base alla strategia di “Global UK” e quello con l’Ue ne favorirà altri nonché il mantenimento dello status di luogo ad alta efficienza (meno regolamentato dell’Ue) da dove far partire penetrazioni commerciali nel continente. Problema? Non sembra: se la Gran Bretagna torna ricca comprerà più merci europee, tedesche e italiane in particolare, e lo scambio sembra buono per tutti. Qualche problema sorgerà, ma vista la formazione di un meccanismo congiunto per risolverlo, lo scenario è ottimistico. Chi scrive, inoltre, ha un motivo in più di soddisfazione. Se non vi fosse stato l’accordo ora sarebbe più difficile progettare un trattato economico tra Ue e Stati Uniti mentre grazie all’accordo stesso non è difficile pensare ad un trattato tra Ue, Usa e Regno Unito che integri i tre mercati, tendenza facilitata dalle relazioni esistenti e dalla comune appartenenza alla Nato. Appunto, come enfatizzato da Boris Johnson: il Regno Unito lascia con senso di liberazione l’Ue, ma resta ben radicato in Europa. Ciò è importante per l’industria italiana della difesa, da vedere come un volano tecnologico principale per tutto il sistema nazionale e non come un settore a parte, perché è già molto inglese e perché nei nuovi progetti è compressa da Francia e Germania: il suo destino è entro collaborazioni italo-inglesi più facilmente agganciabili ai sistemi di superiorità statunitensi, ma senza escludere anche relazioni con francesi e tedeschi perché tali collaborazioni darebbero più forza all’Italia nei negoziati industriali. Vedremo, ma al momento la notizia dell’accordo è la prima veramente buona per l’inizio del 2021. Auguriamoci che ce ne siano tante altre.