L’accordo commerciale denominato Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep) tra le 10 nazioni raggruppate nell’Asean (Filippine, Indonesia, Malesia, Singapore, Tailandia, Brunei, Vietnam, Birmania, Laos e Cambogia) più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, siglato qualche giorno fa, tratteggia un’area di mercato Asia-Pacifico ad integrazione ed estensione crescenti: il negoziato specifico tra queste nazioni iniziato nel 2012 – con l’India che però al momento si è tirata fuori – ora si è concretizzato e si pone obiettivi più ambiziosi entro il 2030. Il punto: la formazione di tale mercato regionale, a dogane decrescenti e standard progressivamente comuni, che promette di essere in prospettiva il più grande del pianeta, è un problema per gli interessi economici e geopolitici dell’Ue, in particolare per Germania ed Italia che dipendono massimamente dall’export.
Per valutarlo bisogna capire la nuova strategia della Cina. Punta ad essere il centro del sistema integrato Asia-Pacifico aprendo molto di più il proprio mercato interno alle nazioni dell’area per condizionarle. Il ruolo di mediazione svolto da Pechino tra i litiganti Giappone e Corea del Sud svela l’intento di Pechino di associarli in un nucleo triarchico, fatto dai più potenti, che comandi sull’area complessiva. Appare come un’imitazione della costruzione europea dal 1963 in poi: nucleo diarchico franco tedesco che allinea gli altri non in modi impero occupante, ma inclusivo, dove il comando è bilanciato da concessioni ai vassalli (e il costo dell’impero è pagato dai vassalli stessi) che sono gradite perché comunque moltiplicatori di forza e vantaggi per le piccole nazioni. Si tratta di una strategia molto intelligente: quella della Via della seta, oltre che costosa, è facilmente arginabile, infatti è “floppata”, mentre quella di diventare il centro del mercato regionale più grande del pianeta, quindi con la capacità di determinare gli standard economici, finanziari, industriali, legali, ecc. globali, lo è meno, in particolare dagli “esterni” Usa ed Ue. Molti analisti non sono preoccupati perché ritengono che mai il Giappone e l’India concederanno un vantaggio a Pechino. Inoltre, il Giappone ha voluto mantenere l’accordo di mercato integrato tra 11 nazioni del Pacifico anche dopo l’abbandono voluto da Donald Trump del trattato Tpp (siglato da Barack Obama nel 2016) della dodicesima e promotrice: l’America. Ciò mostra che Tokyo ha una vocazione imperiale concorrenziale a quella della Cina e, più nascostamente, una capacità di muoversi anche senza l’America. Inoltre ha perseguito, accettando aperture mai concesse prima, trattati bilaterali commerciali sia con gli Stati Uniti sia con L’Ue, per altro vantaggiosissimi per l’export italiano. In sintesi, considerando anche le posizioni anticinesi dell’India, di Australia e (pur un po’ meno) di Nuova Zelanda è improbabile che la partecipazione al Rcep da parte di Giappone e Corea del Sud possa portare ad un cambiamento di postura geopolitica. Ma chi scrive ha ancora in mente una conferenza a Tokyo nel 1996, organizzata dallo Yomiuri Shimbun - per rispondere alla domanda, semplificando: il Giappone deve andare in Asia o restare a “Ovest”? - dove in sala i grandi gruppi industriali nipponici già allora incentivati da Pechino erano tentati dalla seconda. Infatti ora il Giappone è il primo investitore in Cina nonostante la postura anticinese e la recente cooptazione della sua intelligence nel ristretto club anglofono dei “5 occhi”. Ma non c’è solo la forza attrattiva del business. Parecchi dati mostrano che sta emergendo un orgoglio panasiatico socialmente diffuso. In sintesi, non sembra esserci un problema a breve, ma in prospettiva sì: senza azione di rinforzo ed estensione in Asia dell’alleanza G7 da parte dell’Occidente emergerà un Oriente di forza e scala superiore.
Per l’Ue c’è un problema ulteriore. Di fronte allo scenario detto, l’America certamente correrà ai ripari raffinando l’alleanza con l’India e dando ancora più vantaggi al Giappone. Semplificando, metterà in priorità l’Asia abbassando il valore strategico dell’Ue. Lo fece già Obama nel 2009 quando dichiarò la fine del G7 a favore del G20 e quando, dal 2013, si ricredette, ma mise in priorità il trattato del Pacifico (Tpp) dando minore attenzione a quello dell’Atlantico (Ttip). Lo ha fatto Trump quando ha proposto un G7 + esteso a India, Australia e altri. Pertanto è obiettivo – non facile da ottenere - dell’Ue far capire all’America che solo un’intesa euroamericana ha la forza di bilanciare il potere cinese e sia tenere sul lato giusto gli alleati asiatici sia difendere i propri export da standard ostili e barriere non tariffarie: ad impero, impero più grande. La Cina ha cambiato strategia: dominare il Pacifico e da lì il globo invece di cercare di penetrarlo direttamente dappertutto. Ciò costringe l’Occidente – il mondo delle democrazie - a giocare la partita nel Pacifico stesso. L’Italia? Sarà rilevante nell’Ue per questa materia nonostante la debolezza. I suoi attori politici, però, devono imparare a “pensare globale”, convergendo più con la Germania, visti gli interessi simili, che con la Francia, compattando l’Ue nella giusta direzione euroamericana.