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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2003-9-15L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2003-9-15

15/9/2003

Le euroistituzioni non sono disegnate per gestire le crisi

Le più importanti istituzioni europee – Patto di stabilità e Bce – sono state disegnate senza tener conto delle situazioni di emergenza economica. Ma questa si è verificata nel 2001 in forma intensissima per tre motivi combinati e temporalmente concentrati: caduta delle Borsa e recessione globale, incertezza generata dall’offensiva del terrore e conseguenti guerre per contrastarla, scandali finanziari di enorme portata combinati con fallimenti di grandi gruppi, sia negli Usa sia nell’eurozona. Il colpo complessivo è stato così forte da erodere il pilastro della fiducia di massa su cui si poggia il nostro sistema di creazione e diffusione della ricchezza. In poco tempo il capitale ha smesso di circolare, in forma di investimento e di consumi, a causa della ventata pessimistica. E ciò ha causato negli Usa la perdita di tre milioni di posti di lavoro, in Europa l’aumento della disoccupazione già alta. La botta è stata talmente pesante che ancora nel 2003 l’eurozona è in stagnazione, le sue economie più importanti – tedesca, francese ed italiana – in vera e propria recessione. L’America, invece, sta in questi mesi riuscendo a vedere la luce della ripresa e la maggior parte degli economisti ritiene che da novembre e dicembre la nuova crescita comincerà a creare nuovamente occupazione. In base a questo dato è emerso che gli Stati Uniti sono riusciti in qualche modo a reagire alla terribile crisi della fiducia, ripristinando in misura sufficiente – anche se non ancora completa - l’ottimismo economico, mentre l’Ue no. L’analisi del perché  mostra un incredibile difetto, appunto, nei meccanismi europei che vincolano le politiche economiche degli Stati.

Accortisi che non si trattava di una semplice crisi ciclica, ma psicologica e profonda, gli Usa non hanno esitato a mollare tutti i cordoni della borsa per dare ossigeno al sistema in apnea. Il governo ha acceso debito sia per detassare sia per compensare con spesa pubblica straordinaria il rallentamento economico. Ma eccezionale per le sue conseguenze stimolative è stato il comportamento dell’autorità monetaria statunitense (Fed): ha inondato di liquidità il sistema. Al punto di rischiare un’impennata dell’inflazione futura per evitare il pericolo peggiore di un pessimismo economico endemico. Un rischio altissimo, che infatti il mercato ha scontato deprezzando il valore di cambio del dollaro. Ma rischio calcolato con definizione della giusta priorità. Quando è in gioco la fiducia di base (l’otimismo) bisogna privilegiare i mezzi d’emergenza per ripristinarla il prima possibile, ponendo in secondo piano il requisito di stabilità. Hanno usato la teoria giusta.

I Paesi della Ue, invece, non hanno potuto farlo anche se l’avessero voluto. Il Patto di stabilità non ammette deroghe in casi eccezionali. Per questo i governi non hanno potuto accendere una politica d’emergenza ricorrendo al deficit nella misura che serviva per gestire la crisi. Ma, peggio, la Banca centrale europea non ha fatto alcuna mossa stimolativa importante in termini di politica monetaria per il semplice fatto che il suo statuto glielo impedisce. Ha, infatti, solo il mandato di controllare l’inflazione e non quello di muovere le masse monetarie per fini stimolativi come invece è facoltà statutaria della Fed. In sintesi, senza azioni politiche e monetarie adeguate a tamponare la crisi le economie nazionali europee sono andate e rimaste, di fatto, in recessione.

Sembra assurdo, ma molti di voi stanno soffrendo o provando incertezza sul piano economico solo perché qualcuno ha disegnato male le istituzioni europee e, qui il punto, non ha voluto modificare tempestivamente l’architettura quando è stato evidente che le mancavano i mezzi per gestire la crisi. Se è comprensibile un ritardo di apprendimento data la complessità di un’Europa in difficile e complessa e strutturazione, non lo è oggi il fatto che i governi siano ancora timidi e senza idee per come ridisegnare meglio i meccanismi del Patto e le missioni statutarie della Bce.  Non lo trovo più spiegabile. Inoltre il pensiero tecnico in economia è sufficientemente robusto per saper disegnare un patto più flessibile (per le emergenze, beninteso, mentre deve restare rigido in loro assenza) e una Bce più dotata senza compromettere la stabilità prospettica dell’euro. Cosa che rende ancor più scioccante il vedere che si parla di un mezzo punto di deficit in più o in meno mentre la gente è per strada, le imprese in affanno. E’ una situazione surreale perché si privilegia la forma (la stabilità) sulla sostanza (la fiducia).

E forse questo mostra la causa dell’errore europeo: la sua dottrina tecnica confonde fiducia e stabilità pensando che la seconda coincida con la prima. Non è assolutamente vero, non vi annoio qui con tutta la ricerca che lo dimostra, ma sappiate che c’è. E tale errore porta al divieto di usare l’unica politica che è utile in caso di crisi economiche profonde (psicologiche): riflazionare senza timore di produrre un po’ di inflazione, inevitabile a seguito dei deficit pubblici e del costo minimo del denaro, perché una volta ripristinato l’ottimismo economico non è molto difficile disinflazionare il sistema, ristabilizzandolo. Che è stato, appunto, il metodo americano. Mentre l’Ue non ha potuto farlo. Mi sembra evidente che Patto e Bce vadano ripensati alla luce di dottrine più realistiche, per altro disponibili.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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