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Carlo Pelanda: 2020-10-4La Verità

2020-10-4

4/10/2020

La priorità è l’ecoprevenzione e non l’illusoria decarbonizzazione

Tranquilli: siamo a rischio crescente di morire per alluvioni, uragani, trombe d’aria, di dover migrare – i nostri figli - perché il territorio sia sta impaludando, o diviene non più viabile, a causa dell’innalzamento del livello dei mari oppure, nel settore agricolo, perché le colture tradizionali non reggono al mutamento climatico, e per altri tipi di disastri “ordinari”, nonché per invecchiamento-vulnerabilità dell’ambiente costruito, ma respireremo aria più pulita grazie alla diffusione delle auto elettriche. Questa è una parodia della linea guida “ambiente” che l’Ue sta imperiosamente raccomandando agli Stati affinché allineino i loro progetti per accedere ai capitoli dei fondi e del bilancio europei con priorità la decarbonizzazione, ma è giustificata dall’impostazione surreale di tale ecopolitica. L’idea è che riducendo rapidamente le emissioni di gas, in particolare l’anidride carbonica, che via “effetto serra” contribuiscono all’aumento delle temperature, e quindi delle masse d’acqua evaporata nell’atmosfera che poi riprecipitano verso terra con crescenti volumi e intensità, si possa fermare il cambiamento climatico. Tale idea è stupida non in generale, pur da precisare, ma perché genera l’illusione che la decarbonizzazione rapida nella sola giurisdizione dell’Ue possa avere un effetto globale. Poiché le altre nazioni del mondo non si sono date una simile priorità nei fatti, come si può pensare che la decarbonizzazione in un un’area di circa 400 milioni di persone possa avere un effetto su un pianeta dove miliardi di individui continuano beatamente a “carbonizzare”, un numero maggiore di animali ad emettere gas, anche considerando che il riscaldamento in atto sta già scongelando il permafrost, in Siberia e altrove, liberando quantità enormi di metano finora lì imprigionato? Non solo. Mentre tecnici e politici europei fissano la data del livello di decarbonizzazione da raggiungere per ottenere un effetto di neutralità climatica, recentemente anticipata tra l’altro, resta imprecisato il come prevenire l’impatto distruttivo del cambiamento climatico già in atto, cioè l’ecoadattamento. Da un lato, il tema di come adattarsi al cambiamento ambientale, prevenendone gli effetti dannosi, è sempre più studiato ed invocato. Dall’altro, resta nelle istituzioni europee una sorta di ecofanatismo che punta tutto – cioè il più dei soldi – sulla decarbonizzazione. Surreale, appunto. Aggiungerei il termine “criminale”, viste le morti crescenti per più frequenti disastri non prevenuti, nei confronti della politica italiana perché gestisce un territorio dove incombono due maxi rischi: quello tradizionale sismico ed alluvionale, nonché il vulcanico, e quello nuovo dovuto al cambiamento climatico che rende più intensi e distruttivi i fenomeni atmosferici e mette a rischio di sommersione le coste urbanizzate e di impaludamento i loro retroterra nonché di impervietà le attività agricole. Una persona mediamente istruita e di buon senso vedrebbe subito che bisogna mettere in sicurezza il territorio la cui vulnerabilità è aumentata a picco. Una un po’ più istruita vedrebbe subito la necessità di interventi di prevenzione con metodo sistemico: rifaccio le case e le infrastrutture di tutto l’Appennino e di parecchie aree subalpine con criteri antisismici a cui aggiungo, integrandoli, quelli di prevenzione contro bombe d’acqua e alluvioni a loro volta connessi con il sistema di dighe future per contenere l’innalzamento del mare e i riflussi nelle direttrici fluviali, ecc. In sintesi, sarebbe logico aprire un grande cantiere per il rifacimento complessivo dell’ambiente costruito il cui substrato si sta destabilizzando. La tempistica di tale cantiere, zona per zona, dovrebbe essere sostenuta da un sistema di osservazione dei mutamenti e dei rischi con missione di definire le priorità e i conseguenti impieghi di spesa: alcuni subito, altri entro un ventennio ed oltre, ma già previsti ora. Vista la necessità di un grande cantiere integrato, poi, sarebbe logico inserire l’ammodernamento dell’ambiente costruito. Troppo complesso? Ora ci sono sistemi di intelligenza artificiale che, con dati sufficienti, aiutano tantissimo a gestire la complessità. Un bravo politico italiano, pertanto, dovrebbe richiedere all’Ue di modificare la missione “ambiente” più verso quella di “ecoadattamento” con criterio la sicurezza sistemica del territorio, pur non rinunciando alla decarbonizzazione. E chiedere di integrare la missione “digitale” con quella “ambiente” proponendo un sistema europeo di osservazione dei mutamenti e rischi ambientali, alimentato da sensori spaziali e terrestri, per altro già esistenti, ma non integrati: HOME (HOlistic Model of Europe – Earth) cioè Modello olistico dell’Europa poi estendibile al pianeta. Avete sentito un qualche politico proporre una cosa del genere? Io no, pur avendo registrato sensibilità e una forte pressione di colleghi ricercatori in questa direzione, dandomi prove della fattibilità e razionalità economica: spendi uno in prevenzione e risparmi mille in caso si attualizzi un disastro non prevenuto. In conclusione, l’Italia chieda un capitolo speciale per la sicurezza territoriale, però tentando di estenderlo a tutta l’Ue: Amburgo teme di essere sommersa tra qualche decennio, le antiche fondamenta lignee di Amsterdam si stanno sfarinando, dappertutto le bombe d’acqua sono devastanti: tutta l’Europa è vulnerabile e va messa in (eco)sicurezza. Questa è la priorità delle allocazioni di bilancio per l’ambiente: la sostenibilità attiva perché ecoadattativa e non solo decarbonizzante.

(c) 2020 Carlo Pelanda
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