Bisogna correggere, se possibile sostituire, la strategia di acquisizione di Borsa italiana decisa dal governo perché c’è un evidente rischio per l’economia nazionale: al momento è di fatto una cessione al comando dello Stato francese. Questa realtà è stata mascherata, in sede di accordo preliminare, prevedendo l’entrata di Cdp all’8% nella holding Euronext – che controlla diverse Borse europee – in quota paritetica a quella di Caisse des Dépôts, ambedue di proprietà statale, e la nomina di un amministratore delegato italiano nella società Borsa Italiana. Pertanto, in apparenza, la proprietà italo-francese risulta equilibrata. In realtà, invece, c’è un evidente asimmetria a favore del comando francese e dei suoi interessi strategici. Che Cdp abbia una percentuale paritetica a Caisse nella holding è irrilevante perché Parigi ha un potere politico maggiore di quello di Roma, in particolare quello di ricatto sul piano Ue. La strategia francese, oltre alla creazione di un blocco europeo francocentrico grande abbastanza per trattare alla (quasi) pari con America e Cina, ha come obiettivo il riequilibrio del potere reale (industriale e finanziario) con la Germania perché lo status di potenza nucleare non è più sufficiente per bilanciare la diarchia. La conquista di Borsa italiana faciliterebbe la conquista di altre entità italiane “chiave”.
Uno potrebbe dire che, alla fine, chiunque possieda la Borsa ha comunque interesse a farla funzionare per guadagnare. Vero, ma non se nella proprietà ci sono direttamente governi: in tal caso è inevitabile la contaminazione della logica privata da parte di quella geopolitica, prevalente. Infatti la Germania, in via riservata, ha spinto la Borsa tedesca a partecipare all’asta che l’attuale proprietario di Borsa italiana, il London Stock Exchange Group, ha dovuto lanciare per un obbligo di vendita imposto dall’antitrust Ue. Lo ha fatto solo per motivi di competitività tra piattaforme di scambio? Certamente questo è un fattore. Ma è amplificato dall’interesse strategico di non lasciare l’Italia nelle mani della Francia. Berlino ha visto la natura geopolitica e di sudditanza italiana nell’accordo italo-francese ed ha sussurrato a Deutsche Börse Gruppe di competere per l’acquisizione, promettendo risorse aggiuntive se servisse. Perfino più indicativo di un gioco geopolitico è il linguaggio usato dalla Borsa di Zurigo per candidarsi all’acquisto di Borsa italiana: ha messo in campo l’amministratore delegato della Borsa di Madrid, appena comprata, per mostrare come il proprietario elvetico lasci piena indipendenza alla gestione e criteri spagnoli. Cioè ha comunicato chiaramente che se Borsa italiana vuole restare indipendente pur con proprietario straniero, allora la migliore opzione è favorire la proprietà svizzera, privata. Ma a chi lo ha comunicato, considerando che il governo italiano si è già ingaggiato in sudditanza con la Francia in cambio di un sostegno alla sua durata? La conferma finale dell’accordo preliminare italo-francese non è solo cosa che può decidere il ministro dell’Economia in combutta con il premier e con solo una parte della maggioranza auto-annessionista e “incentivata” dalla Francia. Soprattutto, il messaggio è alla comunità finanziaria italiana: ragazzi, volete veramente aggiungere i vostri soldi – Roberto Gualtieri, per esempio, li ha chiesti a Banca Intesa a sostegno dell’accordo italo/francese – per un’operazione che poi, sul piano sistemico, ve ne farà guadagnare di meno o vi comprerà? Se non fosse tragico, meriterebbe una risata.
Infatti, tra i rischi c’è quello di uso predatorio del “potere di listino”. Per esempio, diciamo di fantasia, una Borsa decide di escludere dal listino primario un’azienda collocandola in uno meno blasonato allo scopo di ridurne la capitalizzazione per rendere a sconto un’acquisizione. O per altri scopi, per esempio il segnale “di calmarsi” dato a Tesla qualche giorno fa, in America, rifiutando la sua entrata nel listino principale nonostante avesse i requisiti. Ma il rischio più grande per l’economia italiana è che le 1.500 piccole-medie aziende che si stanno preparando alla quotazione entro un triennio nei segmenti loro dedicati in Borsa, altre 1.500 – 2.000 che stanno studiando di farlo entro 5-6 anni, ed ulteriori, almeno, 2.000 potenziali nel decennio, potrebbero trovare limitazioni se a una proprietà straniera influenzata dalla geopolitica non andasse bene sia che la Borsa di Milano diventasse la più grande al mondo, quindi colossale fulcro di un ciclo di capitale, sia che molte aziende italiane, grazie alla capitalizzazione via quotazione, diventassero più competitive globalmente a danno di altre. Ora il governo Conte 2 sta creando questo rischio. Come correggerlo? Se il governo non sarà fermato, allora pretenda almeno il diritto di veto sulla gestione di Borsa italiana come ottenuto dall’Olanda quando la Borsa di Amsterdam è stata comprata da Euronext. Ma il modello migliore per l’Italia è che si formi una cordata privata di attori finanziari che raccolga circa 4 miliardi per comprare in asta Borsa Italiana. Questa, infatti, non solo ha un destino di enorme crescita e profitto per la proprietà, se non ostacolato dalla geopolitica, ma anche farà girare un enorme ciclo di capitale a beneficio diretto ed indiretto della finanza italiana e conseguentemente delle imprese. Studino le banche questa opzione: qualora servissero più risorse, una partecipazione minoritaria delle banche svizzere, ma creando un accordo di collaborazione con Zurigo, sarebbe una buona soluzione, indipendente, ricca e sicura.