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Carlo Pelanda: 2020-8-15La Verità

2020-8-15

15/8/2020

L’America ha fatto un capolavoro diplomatico e spiazzante

L’accordo tra Emirati ed Israele mediato dagli Stati Uniti modifica sostanzialmente lo scenario regionale con riverbero su quello globale. Nel gergo lo si definisce “game changer”, cioè novità che cambia il gioco.

L’accordo non è una sorpresa. Per inciso, quando nell’autunno 2019 fui relatore allo “Abu Dhabi Strategic Debate” percepii nei convegnisti – politici ed analisti strategici di quasi tutte le nazioni islamiche – un insolito fermento e vidi un’inusuale presenza di statunitensi. Quando sentii l’annuncio enfatizzato di un progetto per costruire in un unico spazio una moschea, una sinagoga e una chiesa cristiana adiacenti capii che c’era un negoziato in corso, con il consenso silenzioso dell’Arabia saudita e sotto ombrello statunitense. Ma è una sorpresa l’intensità dell’accordo stesso. Non si tratta solo di aprire relazioni diplomatiche con Israele, come Egitto e Giordania, ma di un programma di forte collaborazione industriale e tecnologica tra Emirati ed Israele. I primi hanno l’ambizione di diventare l’avanguardia modernizzante dell’Islam, per esempio la recente missione verso Marte lanciata da uno spazioporto in Giappone. La seconda è tra le più grandi fucine di nuove tecnologie e aziende tecnologiche nel mondo. Il vantaggio reciproco di un incrocio è evidente. E deve esserlo perché la rinuncia da parte di Israele all’annessione e ulteriore colonizzazione della Cisgiordania ha un alto costo politico a causa del dissenso dei partiti religiosi che invocano la Grande Israele.

Infatti non sarà facile. Ma al momento bisogna riconoscere il capolavoro diplomatico fatto dagli Stati Uniti guidati da Donald Trump e preparato fin dal 2017. Da un lato, è probabile che l’accordo con gli Emirati sia solo una parte di quello complessivo tra Israele e Islam sunnita guidato dai sauditi e che questa parte sia stata accelerata dalla necessità elettorale di Trump stesso di poter dimostrare di aver realizzato quanto promesso, cioè un accordo pacificante storico nella regione mediorientale. Dall’altro, è possibile che sia la monarchia saudita sia gli Emirati – pur con capacità strategica e interessi autonomi - a questa leali abbiano accelerato l’accordo non solo per fare un favore a Trump, ma anche per interessi urgenti propri. Lo scenario è nebuloso, ma si può ipotizzare che l’accordo con Israele sia anche una risposta a quello tra Iran e Cina. Tradotto, se Teheran pensa di usare tecnologie militari cinesi o nucleari sia proprie oppure fornite da Pechino, per minacciare la costa dirimpettaia e prendere il domino del Golfo, nonché far vincere gli Huti sostenuti dall’Iran contro gli yemeniti appoggiati da Arabia ed Emirati, allora sauditi ed emiratini potranno ricevere da Israele una tecnologia superiore e, in extrema ratio, armi nucleari già pronte per l’uso, senza coinvolgere direttamente l’America e dare alla Cina la scusa di un confronto nucleare globale, regionalizzando l’eventuale conflitto. Scenario che la Russia sta osservando con preoccupazione perché esclusa da questo gioco mentre finora aveva lo status di potenza protettrice, ma anche limitatrice, dell’Iran. Cercherà di rientrare in partita, ma è improbabile che ciò avvenga a favore di Teheran. Infatti la conduzione strategica dell’Iran è infuriata e spiazzata. I suoi proxy libanesi, gli Hezbollah, urlano contro il tradimento emiratino, ma sanno che se sauditi ed Emirati sostengono Israele, la loro missione di guerra contro lo Stato ebraico è compromessa. Il silenzio di Hamas, dove per altro il dominio sciita-iraniano si è molto ridotto a favore di arabi sunniti stufi della continua guerra con Israele, mostra il medesimo spiazzamento. Perfino più plateale tra i palestinesi della Cisgiordania che potranno governarla senza più la pressione annessionista israeliana, ma anche forse con meno soldi erogati da sauditi ed Emirati. Appunto, un grande cambiamento del gioco: un blocco sunnita fatto da Arabia, Egitto ed Emirati con alleati Stati Uniti e Israele implica la nascita di un attore geopolitico con capacità condizionanti in tutta la regione mediterranea e del golfo che limitano le ambizioni di influenza di Turchia e Russia, nonché di Cina e Iran.

Per l’Italia ci sono nuove opportunità, ma anche due problemi. Israele da decenni considera l’Italia l’unica nazione Ue di cui fidarsi, pur non del tutto, per accordi industriali-commerciali rilevanti, in base ad un accordo Difesa-Difesa siglato nel 2004-5 e successivi. L’accordo con gli Emirati potrebbe togliere business all’Italia e ciò implica contatti urgenti con israeliani ed emiratini, i secondi comunque fonte di domanda crescente di tecnologie evolute, come per altro l’Arabia. Connesso a questo è il secondo problema: l’Italia è schierata in Libia con i nemici del blocco sunnita-saudita sostenuto da Egitto, Emirati e Francia con una nota wagneriana in sordina russa. Sia per partecipare alla nuova fonte di sicurezza nel Mediterraneo sia per non perdere affari, Roma dovrà valutare un cambio di schieramento.

(c) 2020 Carlo Pelanda
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