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Carlo Pelanda: 2020-7-19La Verità

2020-7-19

19/7/2020

Vento di Nordest

Può un triestino, pur residente a Verona, prendere le difese del Veneto che è oggetto di frequenti rappresentazioni non corrette della realtà, talvolta sprezzanti, e, soprattutto, penalizzato da una indifferenza plateale dei governi italiani per le sue esigenze? Può perché tale difesa è esente da fattori affettivi-identitari ed è motivata da una logica geo-utilitaristica: semplificando, il Nordest non si trova bene in Italia e, pur non essendo secessionista, vuole più autonomia. Ne ha bisogno, urgentemente, per difendere in modo attivo la sua ricchezza non solo in relazione ad uno Stato che impone un modello soffocante per l’economia residente, ma anche per fare un’azione geoeconomica estera che Roma non fa. In generale, l’Italia è un piccolo continente denso di varietà locali che però non riescono ad esprimere il loro potenziale a causa di un modello centralistico ed allo stesso tempo disordinato: una repubblica presidenziale permetterebbe allo stesso tempo di tutelare i requisiti di standard nazionale e dare molta autonomia ai luoghi potenziandone lo sviluppo. L’autonomismo qui invocato non è contro l’Italia, ma per rafforzarla.

Perché Il Veneto è antipatizzato da politici e commentatori di sinistra? E’ zona da sempre de-comunistizzata e basata sulla cultura del “facciamo da soli” invece di aspettare aiuti e che riesce a far bene e presto le cose. L’area, poi, ha la più alta densità di piccole imprese internazionalizzate, insieme ad Emilia e Lombardia, ma con un tratto culturale specifico di audace imprenditoria di massa. Zona razzista? In realtà molti dati mostrano che è l’area dove è più ampia e rapida l’integrazione di immigrati. Ma i media hanno enfatizzato una minoranza di espressioni escludenti come strumento di demonizzazione. Gap di comunità solidale? In realtà il “facciamo da soli” è possibile perché ciascuno può contare sull’altro. I dati sul volontariato mostrano il Veneto ai primi posti nei comportamenti pro-sociali diffusi. Propensione all’anarco-capitalismo? C’è, ma solo per comunisti o pigri o desviluppisti è un tratto negativo: in realtà segnala una cultura forte che educa individui forti e non sardine. E quante volte nelle cronache si è letto che piccoli imprenditori abbiano bruciato il capitale personale per tenere in vita l’azienda e i lavoratori in un momento nero? Tante e in questi giorni di più. In sintesi, non voglio reagire all’eccesso di demonizzazione del Veneto santificandolo, ma se uno guarda i dati, anche quelli fiscali, trova la prevalenza di una società ordinata e fattiva: ha il solo peccato di avere una cultura diversa da quella di sinistra, fannullista e rivendicativa, e di avere la Lega quasi al 60% dei consensi e una popolazione che ha approvato a valanga l’autonomia in un referendum regionale.

Dopo secoli di povertà e declino, il Veneto, così come tutta la fascia pedemontana del Nord, ha ritrovato lo sviluppo negli anni ’60: il vicino mercato tedesco cercava componenti producibili in modo flessibile anche in capannoni collocati vicino ai campi e la popolazione particolarmente attiva colse l’opportunità – dal Friuli al Piemonte – di creare piccole imprese manifatturiere. Fu un boom che compensò la crisi della grande industria. Ora le piccole imprese devono trasformarsi per restare competitive nel mondo: capitalizzarsi, digitalizzarsi, ingrandirsi. L’autonomia, con trattenimento di risorse fiscali per impieghi locali, serve a dare loro i sostegni che lo Stato non dà: infrastrutture, facilitazioni all’evoluzione tecnologica diretta e indiretta (collegamento con università potenziate), ecc. Ma oltre a questa soluzione, che in verità sarebbe utile a tutti i luoghi d’Italia, l’autonomia veneta permetterebbe di creare una “megaregione di fatto”, con Trentino e Friuli V.G., con scala tale da essere soggetto per iniziative transregionali che creino un mercato collaborativo transnazionale. Due in particolare. Il rinnovamento dell’Alpe-Adria che includa il triveneto, più Bolzano, l’Austria, la Baviera, la Slovenia e le contee occidentali dell’Ungheria e si connetta con l’analoga iniziativa centrata, più verso ovest, dalla Regione Lombardia. In sintesi, creare un mercato integrato e collaborazioni di tutta l’area alpina e viciniore. Poi il progetto “Lago adriatico”. Roma non fa politica estera verso est. Ma lo sviluppo del Nordest italiano è legato a quello dei Balcani e dell’Europa centrale: porti integrati, ferrovie e strade a reticolo, ecostandard comuni, flussi senza barriere. La competenza è degli Stati nazionali, ma molta di questa integrazione è fattibile da iniziative transnazionali, cioè tra regioni subnazionali. Se il Veneto ottiene l’autonomia forte, tutto il Nordest avrebbe capacità stimolativa di tale scenario. Che sarebbe salvifico per la mia amata Trieste in quanto, accordandosi con Venezia e Capodistria, potrebbe diventare il sistema portuale principale sia dell’Alpe Adria sia del “Lago Adriatico”, come lo fu nell’Impero asburgico. Liberi Roma le sue province affinché possano attuare geostrategie di sviluppo basate sulla loro speciale collocazione territoriale invece di comprimere e demonizzare il Veneto. L’Italia intera avrà più sviluppo, Verona, anche amata, sarà più centrale come hub dei flussi europei Nord-Sud ed Est-Ovest e a Trieste si potranno nuovamente sognare i venti, gli oceani. Mi e vi chiedo: per ottenere tale scenario salvifico sarebbe utile o controproducente organizzare un partito del Nordest collegato con uno schieramento nazionale, ma autonomo?

(c) 2020 Carlo Pelanda
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