I dati più recenti indicano che l’emergenza economica durerà 18 mesi in America ed Europa, cioè nell’ area motore del mercato internazionale, riducendosi progressivamente fino alla fine del 2021. Da questa stima si può iniziare a derivare per ogni nazione quella del fabbisogno sia di capitale sia di misure per minimizzare l’impatto della crisi ed accelerare il più possibile la ripresa. Ma non c’è negli atti del governo italiano una tale stima pubblica espressa con chiarezza sintetica e con in nota la metodologia di aggiornamento. Fino ad un mese fa tale mancanza era comprensibile. Ma ora ci sono più dati, in particolare quelli medici che sostengono l’ipotesi temporale detta sopra, e la mancanza non è più giustificabile. Come fa un governo a guidare la politica economica se non la basa su uno scenario non solo robusto, ma anche presentato al parlamento mettendolo in grado di valutare ed approvare le scelte? Al ministro dell’Economia sono stati appena confermati poteri d’eccezione, cioè discrezionali, per decidere l’allocazione di decine di miliardi resi disponibili via indebitamento. Da un lato, tale misura probabilmente serve ad evitare l’assalto dei partiti al bottino. Dall’altro, siamo in una democrazia dove i poteri d’eccezione devono essere limitati al picco dell’emergenza. Ora tale picco è passato e la gestione della crisi deve tornare entro il processo democratico. Anche perché nell’attuale maggioranza il ceto produttivo, in prima linea per accelerare la ripresa, è sottorappresentato e la procedura parlamentare serve a dargli più voce e a chiarire le responsabilità. Inoltre, il governo mostra di essere confuso nel definire il confine tra ciò che serve subito e gli interventi di sviluppo generale e remoto a danno delle azioni immediate, infatti queste in ritardo. Il punto: la democrazia serve a fare le cose giuste e va rispristinata.