La Turchia guidata da Recep Tayyip Erdogan è in grave difficoltà. La sua penetrazione in Siria a difesa delle formazioni anti Assad arroccate nell’enclave di Idlib è contrastata militarmente dalla Russia che, con l’Iran, sostiene il regime di Bashar al Assad stesso e la sua azione di riconquista del territorio. I regimi arabi sunniti che sono ostili al regime siriano filo-sciita e che Ankara pensava potessero aiutare i ribelli anti Assad – tra cui una formazione associata ad Al Qaeda e residui dell’Isis, motivo per cui Mosca ha giustificato l’uccisione di 33 soldati turchi in quanto mescolati tra questi – hanno segnalato non solo che non lo faranno, ma anche ostilità all’espansionismo turco verso la Libia a difesa delle sette dei “fratelli musulmani” che sono in guerra civile, entro l’Islam sunnita, con i regimi filo-sauditi. La pretesa di Erdogan, poi, di avere un diritto esclusivo di sfruttamento economico del Mediterraneo orientale interferisce con gli interessi di Egitto, Israele, Cipro e Grecia e, in generale dell’Ue. Va anche annotato che la Turchia ha peggiorato le relazioni con la Cina per difendere i musulmani autonomisti che abitano la Cina nordoccidentale perseguitati (è uno sterminio) da Pechino. In sintesi, la Turchia, Quatar a parte, è isolata politicamente e a rischio di grave sconfitta su tutti i fronti dove sta tentando una proiezione di potenza. Per questo ha chiesto aiuto alla Nato, di cui è parte formale, ma da tempo non più sostanziale, creando sorpresa. E ha chiesto aiuto ad Angela Merkel, anche per mediare con la Russia, usando il ricatto di lasciar filtrare verso i confini dell’Ue milioni di migranti siriani. Queste mosse indicano un furbastro provincialismo strategico e diplomatico. Ma vanno considerate per la loro possibilità di creare una nuova opportunità strategica: mettere in divergenza Russia e Turchia, recuperando all’alleanza occidentale la seconda e grazie a questo limitare l’influenza della Russia stessa, e indirettamente dell’Iran, nella regione mediterranea nonché l’espansionismo turco in generale, condizionando Erdogan e alla fine domandolo e creando le condizioni per una sua sconfitta elettorale.
L’analisi emotiva tende ad antipatizzare la Turchia a conduzione Erdogan. Ma quella fredda mostra che la Turchia è nazione chiave per l’influenza sull’Asia centrale e rilevante per il controllo dell’Iran e il contenimento dell’espansione russa. Infatti l’America ha reagito con aperture preliminari, pur non con ingaggio, alla richiesta turca di aiuto sia bilaterale sia in sede Nato. Erdogan, semplificando, vuole che venga istituita un’area di non sorvolo nell’area di Idlib tutelata dalla Nato nonché un cessate il fuoco, con la scusa umanitaria, cioè bloccare l’offensiva siriana sostenuta dall’aviazione russa, ma senza arrivare ad un conflitto armato tra Ankara e Mosca. Anche Mosca, in realtà, vuole evitarlo, ma non può permettere che la Turchia impedisca la piena riconquista da parte di Assad della Siria, luogo di (costoso) presidio russo da cui esercitare influenza in tutta la regione. I due hanno un accordo di collaborazione su alcune materie che però li lascia liberi di divergere su altre pur entro un vincolo di consultazione. La questione di Idlib e l’uccisione di soldati turchi – intenzionale o meno - da parte di piloti russi travestiti da siriani ha creato una frattura nell’accordo, rendendo difficile la consultazione compositiva, motivo per cui Erdogan ha voluto mostrare a Mosca che potrebbe rivolgersi alla Nato e ricattare l’Ue, cioè che ha alleati forti o forzati ad esserlo. Cosa conviene fare?
Direi che la priorità è non umiliare l’esercito turco perché nel futuro su questo potrà ruotare il ripristino della democrazia in Turchia e la sconfitta di Erdogan. E nemmeno la popolazione turca, che al 50% è contro Erdogan, umore crescente, ma molto influenzato dal nazionalismo. Pertanto suggerisco di concedere alla Turchia una via d’uscita dandole un supporto Nato prudentemente anti-russo, calibrato in forma dinamica in base ai segnali di riconvergenza con l’Occidente e gli europei. Per esempio, rinuncia alla zona esclusiva di sfruttamento marino in cambio di un qualche spazio, ma concordato con Grecia e Cipro. Rinuncia all’azione armata in Libia in cambio di un ingaggio dell’Occidente per un’azione umanitaria che blocchi l’offensiva russo-siriana a Idlib e che attivi un presidio di tutela della popolazione, per esempio caschi blu, ma integrato da una capacità di eliminazione dei gruppi Al Qaeda e Isis lì rifugiati, concordandola con la Siria, anche offrendole un riconoscimento formale e un aiuto per la ricostruzione, però condizionato alla riduzione della presenza russa e iraniana sul suo territorio: cioè tentare di prendere due piccioni con una fava. Non imporre alla Turchia una rottura con la Russia in cambio del suo salvataggio, ma solo chiederle di restringere il raggio delle collaborazioni: basterà. Vladimir Putin reagirà? E’ debole per l’economia in collasso e relativi dissensi interni e quindi il suo istinto strategico di usare la forza e la minaccia, perché altro non ha, potrà essere limitato da qualche rilassamento delle sanzioni. Si lasci pure Merkel mediare. Ma Italia, Francia (in questo caso è utile una collaborazione) e America si accordino per guidare il vero negoziato con la Turchia. L’unica imposizione a Erdogan, motivabile come requisito di consenso nelle democrazie per aiutarlo, è il rispetto della libertà di stampa: ciò aiuterà la sua sconfitta ed il futuro ritorno della Turchia nell’area occidentale, obiettivo di interesse nazionale italiano, per la sicurezza e l’export.