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Carlo Pelanda: 2020-1-12La Verità

2020-1-12

12/1/2020

L’Italia offra ad Arabia ed Egitto una veloce vittoria in Libia di Haftar in cambio di vantaggi

La strategia di interesse nazionale sia nel teatro libico sia nella regione mediterranea e suoi retroterra profondi sia asiatici sia africani, nonché sul piano della collocazione internazionale dell’Italia, è molto chiara in teoria, cioè nell’analisi costi/benefici calibrata secondo il profilo di potenza media – ma con modello economico basato sull’export a raggio globale - dell’Italia stessa. La sintetizzo, scusandomi delle necessarie semplificazioni, allo scopo di capire cosa stia impedendo al governo di attuarla.

L’interesse italiano in Libia è che qualcuno ne prenda il controllo il più rapidamente possibile e che questi garantisca in modi concordati la sicurezza e gli interessi economici italiani, cioè rifornimenti energetici, posizionamento dell’Eni e apertura alle aziende italiane per la ricostruzione e per le importazioni. Il generale Khalifa Haftar sta vincendo la guerra civile e ha preso il controllo di quasi il 90% del territorio. Pertanto la mossa più logica per Roma sarebbe quella di abbandonare il sostegno alla parte perdente e aiutare quella vincente a chiudere la questione, prima che il ruolo italiano diventi irrilevante per ottenere in cambio accordi utili. L’enfasi sulla rapidità riguarda anche un problema di sicurezza: più il conflitto si allunga e più Haftar dipenderà da milizie salafite – propense sia al mercenariato sia allo jihadismo, combinati - per necessità. Pertanto bisogna aiutarlo a vincere il prima possibile senza menarla con ridicoli “cessate il fuoco”. Ma Haftar ha 76 anni e problemi di salute. Ciò implica assicurarsi con chi lo sostiene e finanzia – in particolare Arabia, Emirati ed Egitto – che vi sia un ingaggio stabilizzatore duraturo, considerando che questo implica dare soldi a centinaia di tribù con proprie milizie che cambiano fronte a seconda di chi offre di più. Da sempre l’Arabia sente il problema di non poter controllare il petrolio libico e algerino. Probabilmente sarebbe propensa a spendere, intanto, per allineare la parte libica. Inoltre, la parte perdente in Libia fa riferimento ai Fratelli musulmani - corrente sostenuta da Turchia, Qatar e al governo in Tunisia – che è in guerra totale entro l’Islam sunnita con le correnti sostenute dalla monarchia saudita. Poi qualcuno deve metterci i soldati come deterrenza nei confronti di eccessi di qualche tribù libica. L’Egitto è il candidato naturale a svolgere questo ruolo pur in modi non da occupante. Si consideri poi l’alleanza di Israele con l’Arabia in funzione anti-iraniana e con l’Egitto e il fatto che l’America lo considera Paese chiave per il presidio del Mediterraneo. In sintesi, è molto più vantaggioso per Roma entrare nell’alleanza che investe sull’Egitto che starne fuori e di traverso. La Francia vi è già parte, ma ha sbagliato qualcosa ed ora è marginalizzata; anche la Russia ne è parte, ma in realtà non ben accettata. Motivo in più per l’Italia di correggere in tempo utile l’errore fatto dai governi procedenti (Renzi e Gentiloni) di sostenere Fayez al Sarraj. Oltre alla stabilizzazione della Libia, è interesse italiano vendere armi (anche) all’Egitto, considerando che l’export del settore si è dimezzato e che Il Cairo è un cliente compatibile con la sfera di influenza statunitense e la sicurezza israeliana, ovviamente trattando con l’America (non facile) uno spazio di mercato specifico e riducendo quello per la Francia e la Russia. Inoltre, l’Egitto è in situazione di pre-guerra con l’Etiopia perché Addis Abeba ha messo una megadiga (ben costruita da Salini Impregilo) sul Nilo Azzurro, allo scopo di dare elettricità al 90% dell’Etiopia che ancora non la ha, annunciando un calo dei flussi a valle per almeno un quinquennio. La stampa egiziana, evidentemente ispirata, ha minacciato di bombardare la diga. Ma l’Etiopia è rigida. Ambedue alleati dell’America le hanno chiesto, più il Sudan, una mediazione che dovrebbe concludersi il 15 gennaio. In questo caso l’Italia può fare molto: fornire sia dissalatori all’Egitto per ridurne la dipendenza dal Nilo sia centrali energetiche non-idroelettriche (biomasse, solari, ecc.) all’Etiopia per ridurne la dipendenza dalla diga nonché aiutare l’America in questa difficile mediazione, in cui sta cercando di infilarsi la Russia, in cambio di una convergenza per gli interessi diretti in Libia e affari. Prevale nei commentatori l’idea che la partita libica sarà decisa da Turchia e Russia con logica di spartizione. Ma la prima è vulnerabile e ricattabile sul piano dell’economia interna e la seconda non vorrà litigare con i sauditi ed è spiazzata dalla compressione americana dell’Iran: in sintesi, i due attori hanno rilievo, ma non primario nel caso. Il rilievo lo hanno America, Arabia, Egitto e Israele. L’Ue? Non esiste perché non spara. Pertanto ritengo corretta la strategia consigliata.   

Cosa impedisce a Roma di attuarla? Al netto dell’inesperienza del governo – è stato razionale dare una leccata ad Haftar, ma sbagliato il non aver fatto prima un accordo netto con i suoi soci più rilevanti - manca all’Italia un accordo generale con l’America che permetta a Roma di avere un sostegno per la strategia detta. Se così, il perché manca è che l’America non si fida sufficienza, al momento, dell’Italia per sostenerla in una ricollocazione strategica che la renderebbe più rilevante. E non si fida, semplicemente, perché Roma sta “cicciando” troppo con la Cina, è indecisa sull’Iran ed ha un governo considerato non pienamente affidabile sul piano delle persone. In conclusione, il governo Conte – pur apprezzabile per atlantismo il ministro della Difesa -   non appare in grado di attuare scelte di vantaggio nazionale, motivo esterno pressante che si aggiunge a quelli interni per sostituirlo.

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