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Carlo Pelanda: 2019-12-29La Verità

2019-12-29

29/12/2019

L’interventismo turco in Libia permette all’Italia di cambiare alleanze

L’Italia ha chiaramente sbagliato alleanze sulla questione libica con il risultato di perdere rilevanza nel teatro specifico e nella regione mediterranea. Ora la priorità è convergere verso le alleanze giuste: vediamone i motivi strategici per farlo e come.

L’alleanza giusta è quella che vede convergenti Arabia Saudita, Egitto, Emirati, Russia, con il supporto indiretto di Israele e Stati Uniti che puntano a mantenere una relazione privilegiata con i primi due, così come la Russia stessa, e la Francia a sostegno di Khalifa Belqasim Haftar. Quella sbagliata, a sostegno di Fayez al-Sarraj è formata da Qatar e Turchia. Sullo sfondo del conflitto in Libia c’è la guerra civile entro l’Islam sunnita: Fratelli musulmani, sostenuti dalla Turchia contro wahabiti – e derivati – sostenuti dalla monarchia Saud. Quando i primi presero il potere in Egitto, i sauditi finanziarono con ben 8 miliardi di dollari un colpo di Stato che li rovesciò, instaurando il regime guidato da Abdel Fattah al-Sisi. Il quadro è più complicato – per esempio l’Amministrazione Obama inizialmente sostenne i Fratelli musulmani, la Tunisia ora guidata da questi evita di ingaggiarsi in Libia - ma questa pennellata fa intendere che c’è una sproporzione di forza militare e politica tra Haftar e al-Serraj che, pur il suo governo formalmente riconosciuto dall’Onu, ne rende probabile la sconfitta. Ciò è evidente da tempo. Per quale motivo i governi Renzi e Gentiloni hanno mantenuto il sostegno alla parte perdente, il secondo perfino quasi rompendo le relazioni con l’Egitto, costringendo i governi successivi a restare incastrati? Questa è materia per il giornalismo investigativo a cui posso dare solo qualche indirizzo incompleto: soldi dal Qatar ai governi citati, loro priorità di ottenere da al-Serraj l’internamento dei migranti per ridurne i flussi verso l’Italia a ridosso delle elezioni, effettivamente ottenuto da Marco Minniti con rimarchevole cinismo tattico, ma poca visione strategica, per cercare di attutire la rilevanza del tema dannoso per la sinistra a ridosso delle elezioni del marzo 2018, ecc. Appunto, c’è da indagare. Ma la priorità è farlo selettivamente per capire se c’è qualcosa di rilevante che impedisca ora di mollare al-Serraj. Calcolando quanti vantaggi politici e industriali l’Italia potrebbe ottenere convergendo con Sauditi ed Egitto i costi appaiono immensamente inferiori ai vantaggi stessi.

Il problema più grosso è come salvare la faccia all’Italia che ha una reputazione di alleato sleale dopo aver bombardato Muammar Gheddafi, lasciando che fosse ucciso nonostante il trattato firmato con la Libia sotto la sua conduzione. Un’opzione è garantire ad al-Serraj – nonché ad alcune tribù libiche - che in caso di sua sconfitta l’Italia gli salverà la vita, e quella dei famigliari. Tale enfasi sembra una stranezza, ma considerando che l’Italia deve avere relazioni politiche e commerciali con dittatori e/o leader di regime esposti a uccisione violenta, questo tema è fondamentale per l’influenza e l’export in almeno 60 nazioni instabili nel globo. Mosca, per esempio, mantiene sempre la parola, Parigi protegge qualsiasi scellerato.  

Ma ci vuole anche una giustificazione politica molto forte. Questa, fortunatamente, la sta fornendo Ankara con il suo ingaggio militare diretto a favore dei Fratelli musulmani di al-Serraj: permette all’Italia di usare la maschera della nazione responsabile che rifiuta la guerra e invoca soluzioni diplomatiche, a copertura del disingaggio, rendendo azione politica positiva la ridicola e imbarazzata postura corrente del governo italiano. Ma queste “coperte” hanno efficacia se sotto c’è sostanza strategica. Per ottenerla sono importanti alcuni accordi riservati. Il più rilevante è quello tra Eni e Total per spartirsi con pragmatismo aziendale le risorse libiche, alleandosi per reciproco rafforzamento e per comunicare ai rispettivi governi che c’è convergenza di interessi. Possibilmente da estendere per lo sfruttamento del Mediterraneo orientale dove la Turchia è di traverso. Francia e Italia sono in conflitto latente, ma la prima sta perdendo terreno nel Mediterraneo ed è in grave difficoltà in Africa, in particolare dopo il ritiro dell’America in quella occidentale, e all’Italia conviene darle una mano, ovviamente scambiando favori. Ma l’accordo più importante riguarda il ripristino della convergenza con l’Egitto: questa è la nazione chiave per la stabilità del Mediterraneo ed è meglio che sia Il Cairo a garantire un qualsiasi regime stabile in Libia con cui instaurare relazioni di buon vicinato, tra cui il contenimento dei flussi migratori e un business fluido.

Avvertenza: non umiliare Ankara, pur contrastandola, perché prima o poi Recep Tayyip Erdoğan verrà sconfitto elettoralmente (la missione libica è un disperato tentativo per evitarlo) e la Turchia è un grande cliente per le aziende italiane nonché nazione chiave per il presidio dell’Asia centrale (in funzione anticinese), infatti ancora nella Nato nonostante le divergenze.

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